Spesso non ce ne rendiamo conto, ma sarebbe vantaggioso per tutti prestare più attenzione alle cose che diciamo alle persone che ci stanno accanto e che potrebbero avere davvero bisogno del nostro conforto!
Bisogna fare molta attenzione alle false perle di saggezza che si danno qua e là nei momenti di difficoltà perché gli esseri umani sono fatti per rispondere con più veemenza alle esperienze negative rispetto a quelle buone. Da un punto di vista evolutivo, è una buona cosa: la possibilità di sopravvivenza sale se la reattività è alta di fronte a un predatore o a una situazione di pericolo. Ma non è bello quando la sfortuna porta con sé uno tsunami di sentimenti negativi. Per fortuna, spiega Daniel Gilbert, abbiamo un sistema immunitario psicologico che ci protegge in casi di stress o di minaccia. Se si viene scaricati dal partner, in un primo momento si sta molto male perché ci si ricorda ogni cosa bella di lui o di lei, ma col tempo è molto più probabile cominciare a ricordare tutte le cose negative o che non ci piacevano. Quando si inizia a ricordare quei momenti, ci si sente meglio. Questo è il sistema immunitario psicologico (noto anche come razionalizzazione). Accade a livello inconscio e la chiave, ovviamente, è fare in modo di non prendersi alcuna responsabilità per ciò che è andato storto o imparare dall’esperienza. Dobbiamo stare abbastanza bene da poterci alzare dal letto e andare avanti, ma sentire anche una spinta dentro che ci muova a fare qualcosa per camboare.
La maggior parte dei luoghi comuni sono versioni rielaborate di modelli di protezione del pensiero che si condensano in pillole di saggezza. Le persone ricorrono ai luoghi comuni quando qualcuno sta male o è in difficoltà per una serie di motivi: si può effettivamente credere a qualsiasi cliché e condividerlo nello spirito di disponibilità. Oppure si ricorre al luogo comune perché non si sa cosa dire, credendo erroneamente che dire nulla sarebbe peggio. Nel peggiore dei casi, si è semplicemente emotivamente distratti, non si capisce la differenza tra simpatia ed empatia, o si è sordi al vero contenuto del luogo comune al quale si ricorre.
Qui di seguito le cinque cose che dovremmo tutti smettere di dire, e perché:
1. “Quello che non ti uccide ti rende più forte.”
Grazie, Friedrich Nietzsche, per avere messo in parole (e aver anche ispirate qualche cantautore). Ma, ahimè, questa affermazione è speranzosa e riduzionista allo stesso tempo, in quanto presuppone che la capacità di recupero venga incrementata da un grave stress. Non è vero. Secondo diverse teorie, la capacità di recupero di ognuno di noi ha a che fare con la personalità e la capacità di gestire le emozioni negative. Alcune persone sono generalmente più resistenti di fronte a situazioni di stress. Sono preparate ad affrontare le sfide, ma anche ad anticipare e pianificare eventuali problemi e sono capaci di risollevarsi. Gestiscono le emozioni negative ragionevolmente bene, in parte perché sono cresciute sentendosi amate e ascoltate, ciò che le ha fatte sentire sicure di sé. Se qualcuno diventa più forte in circostanze difficili, sono queste persone. Ma poi, ci sono quelli che si preoccupano del fallimento, che vedono le sfide come scoraggianti, che tendono ad attaccarsi a ciò che già conoscono o che è meno minaccioso. Gestiscono le situazioni negative e le sensazioni che ne derivano meno bene. Possono essere adulti talmente prudenti che quando vedono una montagna, visualizzano anche la caduta. Queste persone non sono buoni candidati a questo tipo di affermazioni perché hanno più probabilità di sentirsi giù quando succede qualcosa di brutto, soprattutto se disastroso. Tanto per farsi più forte.
Ma – sì, c’è spesso un ma – nuove ricerche dicono che una certa quantità di stress può non essere negativa. Ciò che si chiama crescita legata allo stress è stata esaminata in vari studi. In uno di Alia J. Crum, Peter Salovey, e Shawn Achor, gli autori suggeriscono che il modo in cui pensiamo allo stress – la nostra mentalità – influenza il modo in cui lo stress ci colpisce. Se crediamo che lo stress può effettivamente migliorare le nostre prestazioni motivandoci, siamo più propensi a sostenerlo mentalmente, mentre quelli che vedono lo stress come debilitante non ce la fanno. Altre buone notizie? Le nostre idee sullo stress possono cambiare.
2. “La felicità è una scelta.”
Non c’è luogo comune peggiore da dire a qualcuno che è abbattuto o in difficoltà, ma la gente continua a farlo in ogni caso, nella convinzione che possa mettere in atto un cambiamento positivo nella persona sofferente. Ma questa è una mezza verità mascherata da saggezza, perché, secondo una teoria riferita a Sonja Lyubomirsky e altri, abbiamo il controllo solo su di una parte specifica della torta della felicità. Quanto felice è ognuno di noi dipende da tre fattori: il nostro obiettivo di felicità, le circostanze della vita, e l’attività intenzionale. Il tuo obiettivo di felicità corrisponde a circa la metà della felicità ed è determinato da ereditarietà e personalità; è relativamente stabile nel tempo. Le circostanze della vita – che rappresentano ben il 15 per cento della felicità – includono fattori come la qualità delle esperienze infantili, lo stato di relazione, la soddisfazione sul lavoro, il reddito, etc. Quindi, circa il 40 per cento della felicità dipende in realtà dall’attività intenzionale. Questa include – definizione degli obiettivi, gestione delle emozioni negative grazie alla loro ri-contestualizzazione, gestione dei rapporti, o qualsiasi altra cosa che solleva ciò che gli psicologi chiamano benessere soggettivo.
Se stai pensando: “Beh, il 40 per cento fa sì che sia una mia scelta,” mantieni a mente che gli esseri umani si abituano ai miglioramenti nella loro vita, che è anche il motivo per cui crediamo che tante cose che ci rendono felici – avere un nuovo lavoro o una promozione, cambiare casa, comprare una nuova macchina – lo fanno solo per un breve periodo di tempo. Per evitare di dover ricalibrare il nostro obiettivo di felicità (e alcuni di noi, purtroppo, saranno meno felici rispetto ad altri per natura), dobbiamo lavorare a essere felici essendo consapevoli e grati e, ovviamente, facendo di più per rimanere felici. Questo è molto difficile da fare quando si è già a terra ed è tutto molto più complicato di quel che l’espressione suggerisce. Così, invece di mormorare questo luogo comune, perché non provare con un abbraccio?
3. “Quando la vita ti porge i limoni, fai una limonata.”
Grazie, Dale Carnegie, grandioso aiuto del nonno, per aver reso popolare questo luogo comune, che allude al mito dello spirito imprenditoriale americano evocando un dipinto di Norman Rockwell. Il problema è che, nonostante l’ubiquità di questo sentimento, ci sono un sacco di situazioni che non producono alcuna limonata o lezioni di vita che ci fanno sentire meglio. A volte, dobbiamo semplicemente recuperare da ciò che è accaduto, e sentir parlare di quei limoni non aiuta. Gli psicologi hanno esaminato il motivo per cui, oltre alla personalità, alcune persone sono più brave a farsi scivolare addosso le cose negative rispetto ad altri. Alcuni di questi potrebbero avere a che fare non solo con la capacità di gestire le emozioni negative, ma anche con la capacità di fissare obiettivi più astratti come trovare un modo per recuperare una perdita. Charles Carver e Michael Scheier, per esempio, suggeriscono che le persone che hanno sperimentato la perdita di un coniuge e che si concentrano sul senso di connessione come ciò che gli manca di più e del quale hanno più bisogno, troveranno più modi di placare il dolore della perdita e andare avanti rispetto a quelli che cercano di farne fronte con modi meno astratti. Ovviamente è molto più facile trascorrere del tempo con gli amici e la famiglia, o impegnarsi nel volontariato o altre attività che ci fanno sentire più connessi al mondo, se non trovare qualcuno di nuovo col quale si vuole passare la vita.
4. “Il tempo guarisce tutte le ferite.”
Il vero problema qui – a parte il fatto che non è vero – è il fatto che suggerisce che il semplice passare del tempo possa lenire il dolore o la perdita, e così spesso porta le persone a credere che esista un periodo di tempo magico, che si tratti di giorni, mesi o anni, che risolve tutto. Nella maggior parte dei casi, purtroppo, questa frase fa credere alle persona che avrebbe già dovuto recuperare il dolore. Il tempo permette accettazione e ri-contestualizzazione, ma, per alcuni, la vera guarigione è inafferrabile.
5. “Tutto accade per una ragione.”
Credo che questa sia una dichiarazione Dandy se effettivamente ci si crede per ogni cosa che si fa, e se funziona tanto bene. Ma per favore non proponetela a qualcuno finché non siete certi che anch’egli abbia raggiunto la vostra stessa conclusione, da solo. Viviamo in un mondo pieno di eventi casuali e incomprensibili e ognuno di noi deve dare un senso alla vita al massimo dei propri sistemi immunitari psicologici. Un vero empatico non dice nulla se è in dubbio sull’effetto delle sue parole.
Bibliografia
- Gilbert, Daniel. Stumbling on Happiness.NewYork: Vintage Books, 2006.
- Sheldon, Kennon and Sonja Lyubomirsky, “Achieving Sustainable Gains in Happiness: Change your Actions, not your Circumstances,:”Journal of Happiness Studies (2008), 7, 55-86.
- Eliott, Andrew and Todd M. Thrash, “ Approach and Avoidance Temperament as Basic Dimensions of Personality,”Journal of Personality, 78, no.2 (June 2010): 865-906.
- Crum, Alia J., Peter Salovey, and Shawn Achor, “Rethinking Stress: The Role of Mindsets in Determining the Stress Response,” Journal of Personality and Social Psychology (2013) vol. 104, no.4, 716-733.
- Carver, Charles S. and Michael F.Scheier, On the Self-Regulation of Behavior. Cambridge and New York: Cambridge University Press, 2001.
Psychology Today