3 motivi per i quali chi in amore si sente vittima ha sempre torto

Prima di cominciare è doveroso fare una premessa. La vittime in amore esistono. Sono uomini o donne che vengono maltrattate fisicamente o psicologicamente dal partner e di questi maltrattamenti portano i segni sul corpo o nelle emozioni. La violenza fisica è più facile da scoprire perché i segni sono visibili. Quella psicologica è più subdola perché non si vede. La violenza psicologica può essere individuata e decifrata solo da uno psicologo professionista.

Lo dico perché nell’articolo che leggerete parlo di quanto sia dannoso considerarsi vittima del proprio partner. Spesso, l’istante in cui ti senti così è proprio quello che può rovinarti la vita.

Allora sia chiaro, esiste una violenza psicologica ma non è possibile auto diagnosticarsela. Se credi di essere vittima psicologica del tuo partner e dei suoi comportamenti hai fino a quando questa supposizione non viene confermata da un professionista.

Ora ti spiego perché.

Chi in amore si sente vittima ha sempre torto

 

#1 La vittima si innamora del suo dolore

Il dolore fa male. Se metto la mano troppo vicino al fuoco il mio cervello manda un riflesso che in automatico mi ordina di allontanarla. In amore dovrebbe essere uguale. Quando il partner mi provoca dolore dovrei scappare per non bruciarmi.

Invece resto e assumo il ruolo di vittima. Ne parlo con gli amici, racconto di come vengo trattato e loro mi danno ragione, mi confortano e mi stanno vicino. Mi sento capito e allora il dolore non è più una cosa brutta da cui fuggire, ma il mezzo attraverso il quale sentirmi amato da tutti. Più vado in giro a fare la vittima e più gli altri mi stanno vicino. Il mio dolore è la merce di scambio per ottenere affetto e per questo me lo tengo stretto.

 

#2 La vittima è diffidente

Chi viene maltrattato in amore, viene quasi sempre avvertito da chi gli vuole bene. Basterebbe ascoltare i consigli degli amici per vivere molto meglio e prevenire la necessità dello psicologo. Invece non ci si crede quasi mai. Come ho appena detto, la vittima vuole essere compatita e consolata, non spronata a fare qualcosa per cambiare. Appena incontra qualcuno che gli consiglia di dare una scossa alla sua vita, la vittima lo guarda con diffidenza. Non ascolta chi gli consiglia di allontanarsi dal suo dolore.

 

#3 La vittima è un ruolo passivo

Scappare dal dolore è un comportamento attivo. Una scelta, spesso molto difficile, ma utile per migliorare la qualità della vita. Restare significa abbandonarsi agli eventi senza intervenire per cambiarli.

Restare per cercare di aggiustare la fonte del dolore è senza dubbio una scelta coraggiosa. Ma spesso non è dettata dal desiderio di migliorare la situazione quanto dalla paura di ricominciare tutto da capo. Essere passivi significa preferire la certezza di un dolore conosciuto all’incertezza di una felicità ignota.

 

 

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