Ad un’ascesa rapidissima seguì un declino ancor più fulminante: storia di un’icona che ha cavalcato, forse suo malgrado, tutti i cliché dell’artista maledetto
Jean-Michel Basquiat (New York, 1960 – 1988) è stato un artista americano, tra i più importanti esponenti del graffitismo, associato anche al neoespressionismo. Il livello di espressione e di contenuto dei suoi graffiti è stato considerato così elevato da passare dai muri delle strade di New York direttamente nelle sale dei musei, così come per altri “writer” come Keith Haring. Già all’età di 11 anni era in grado di parlare, leggere e scrivere perfettamente in francese e spagnolo, immerso com’era dal melting pot culturale del suo quartiere. L’adolescenza di Basquiat fu piuttosto tormentata, infatti i genitori divorziarono ed egli venne affidato al padre insieme alle sorelle.
La madre invece entrava ed usciva da istituti psichiatrici, e Basquiat non riusciva a gestire le emozioni che comportava vivere una situazione così complicata. A quindici anni decise di scappare di casa dopo che il padre lo sorprese a fumare, si mise a dormire su una panchina e venne arrestato per vagabondaggio. Basquiat era un ragazzo molto dotato ed intelligente, ma non riusciva a seguire le lezioni scolastiche, così venne iscritto alla “City-as-school”, una scuola con metodi di insegnamento alternativi e maggiormente adatti a studenti come lui. Qui incontrò e strinse amicizia con Al Diaz, un graffitista grazie al quale Basquiat iniziò a prendere consapevolezza delle proprie capacità artistiche come writer.
Arte come risposta ad un mondo ostile
Jean-Michelle e Al Diaz si dedicarono ben presto al graffitismo: l’arte di imbrattare i muri con le bombolette spray. Il loro però non era vandalismo, ma una vera e propria forma di espressione artistica. Possedevano infatti un loro stile peculiare e una loro firma criptica: SAMO. Pare volesse dire Same Old Shit, “solita vecchia merda”.
I graffiti sono la primordiale forma di arte. Le pitture sulle pareti nelle grotte sono le prime forme di arte visiva di cui abbiamo testimonianza. Ci si è domandati a lungo per quale ragione i primitivi si impegnassero nella realizzazione di queste immagini invece che in azioni che rispondessero a delle necessità. Una delle prime risposte è che servisse per allontanare le influenze maligne del mondo esterno.
Questo ci rimanda a delle superstizioni. Ma possiamo utilizzare questa analisi delle prime forme d’arte dell’uomo per comprendere la personalità di Basquiat, o meglio il suo bisogno di esprimersi attraverso l’arte. Nell’artista newyorkese, il graffitismo era una tecnica di adattamento, quindi fare arte era per lui una questione di vera e propria sopravvivenza, in un ambiente percepito come ostile, fin dalla giovanissima età.
Il coping, inteso come risposta “positiva”, come adattamento, è utile a ridurre le conseguenze sia psichiche che fisiche possono manifestarsi in seguito ad eventi troppo stressanti, per cui non è per nulla scontato che un individuo abbia le risorse necessarie per fronteggiarle. Nonostante la precoce dipartita, Basquiat ci lascerà a soli * anni, ebbe queste risorse, e seppe vivere in un precario equilibrio.
Per certi versi, però, come ho già detto, l’abuso di sostanze stupefacenti e la prostituzione non sono sintomo di un equilibrio psichico. Ma attraverso l’arte seppe trovare la sua identità e concretizzare le sue aspirazioni. Sembra quasi che la sua infanzia, divisa tra abusi fisici da un lato ed una forte educazione artistica abbiano creato in lui una dualità.
Da un lato, le condizioni di forte stress precoce si può dedurre abbiano sviluppato in lui un’iperattività dell’asse ipotalamo-ipofisisurrene, dall’altro i forti stimoli legati al mondo dell’arte a cui era sottoposto sembrano aver avuto come conseguenza un numero incredibile di opere, che a loro volta contengono un incredibile numero di simboli e significati culturali.
Creare un gruppo di appartenenza attraverso l’arte
Potremmo dire che l’arte di Basquiat è dunque primordiale: risponde a bisogni primari riscontrabili in ogni individuo. Individuiamo dunque nella forma artistica da lui scelta una di queste necessità: il senso di appartenenza ad un gruppo.
Jean-Michelle sceglie infatti di esprimersi attraverso il graffitismo. L’arte di strada. Non crea un’arte elitaria, esclusiva; ma popolare, inclusiva, “arte fatta per l’emarginato, il diverso”, com’egli stesso si sentiva. Nell’esclusione sociale crea uno spazio di inclusione. La sua arte evolverà, ma rimanendo fedele ai suoi ideali. L
La sua arte è infatti spesso una forma di denuncia sociale. Si schiera dalla parte dei più deboli, degli esclusi dalla società, degli emarginati. Ed aprirà la strada alle future generazioni di artisti neri che, come lui, troveranno nei loro simboli artistici, nella loro peculiare forma d’arte, l’identificazione ad un gruppo di appartenenza. Da un punto di vista della psicologia sociale, ma anche di evoluzione della specie, necessario per l’esistenza di un individuo.