L’Oreal, il colosso francese dei cosmetici, ha annunciato che elimineranno dal loro vocabolario tutte le parole come bianco, sbiancante, chiaro dai prodotti destinati a uniformare la pelle. È il loro contributo alla guerra contro il razzismo.
Eliminata la tara del ritorno di immagine (il nome l’Oreal è su tutti i giornali, pubblicità a costo zero), resta il fatto che adattare il linguaggio alla contemporaneità è sempre cosa buona e giusta.
Non basta cambiare parole per cambiare mentalità
Adattare il linguaggio alle esigenze del policamente corretto non basta ad aggiustare il mondo.
Pensate alla religione. Ci sono uomini e donne che la domenica seguono la messa, ascoltano la predica, introducono nel loro vocabolario parole come fratellanza, tolleranza, rispetto e amore per il prossimo.
Nonostante l’indrottinamento, alcuni di loro ritengono auspicabile un mondo nel quale i barconi che partono dall’Africa pieni di disperati pronti a rischiare di annegare per inventare una vita qui da noi, non partano affatto. Altre, invece, che a messa non ci vanno, ma sono pronte ad aiutare il ragazzino di colore che chiede due spicci, anche se magari lo chiamano negro.
Le parole se usate a proposito organizzano il mondo il modo efficace, ma non lo risolvono.
La differenza tra superficialità e sostanza
Superficiali sono i formalismi con i quali si affrontano i contesti sociali. Pensare di una persona che sia un emerito imbecille è sostanza. Darle del tu o del lei non cambia la sostanza.
Oggi il razzimo è ancora un problema e lo sarà sempre. È molto superficiale pensare che riguardi solo il colore della pelle. L’odio verso gli altri è radicato nella nostra psicologia e le condizioni di precarietà lo nutrono.
In questo momento in Italia il problema non sono solo quelli che vengono da altri paesi. Per un signore del nord il problema può essere un signore del sud. Per un uomo può essere una donna. Per una città può essere la città accanto. Per un condomino, l’inquilino del piano di sopra.
Non c’è limite al razzismo.
Social Identity Theory
Negli esseri umani la tendenza a formare dei gruppi è naturale. Ci sentiamo parte del nostro (ingroup) e lo distinguiamo chiaramente dagli altri ai quali non apparteniamo (outgroup). Verso il nostro gruppo siamo tollerante e disponibili, verso gli altri siamo più chiusi, o peggio proviamo avversione.
Quale sia il nostro gruppo e quali siano gli altri, non è deciso a priori, possiamo deciderlo. Forse, quindi, sarebbe più importante lavorare sui legami e meno sulle parole. Si potrebbero creare gruppi eterogenei, assorbire le differenze individuali tra i loro membri con la volontà di un obiettivo comune.
Sarebbe più utile esaltare le differenze e dare valore alla diversità. Sfruttare al massimo quello che ogni essere umano ha da offrire anziché cercare delle parole meno aggressive per dire che siamo diversi.