All’inizio dell’Ottocento, in Francia, con Philippe Pinel si costituisce la psichiatria come pratica, teoria e istituzione specifica, attraverso la creazione degli asili che con la legge del 1938 prenderanno il nome di ospedali psichiatrici. Pinel coglie con acuta sensibilità il rapporto tra disgregazione sociale, miseria e malattia mentale e definisce il manicomio come un luogo deputato a difendere, più che la società dai malati, i malati da una società turbolenta, assicurando loro la soddisfazione dei bisogni minimi oltre che primari come l’avere un letto, del cibo, il riscaldamento, lo svago e le cure. L’abolizione della contenzione e l’utilizzo di farmaci orientano la psichiatria a intendere la cura come una rieducazione ambientale e morale, quale rimedio ai danni prodotti dalla società stessa.
Fino al XX secolo gli infermieri vengono reclutati senza alcuna selezione ed immediatamente inseriti nei luoghi di lavoro costituiti dai padiglioni manicomiali, privi di ogni formazione. Nel 1902 viene bandito in Francia il primo concorso nazionale per psichiatri e viene poi costituito un corpo medico specializzato ed omogeneo. Emerge così in tutta Europa il bisogno di un sistema organizzato per settori territoriali ai quali potesse far capo un’équipe terapeutica in grado di farsi carico della cura dei pazienti psichiatrici e della prevenzione in questo senso. In Italia, una legge del 1938 obbligò ogni Regione a creare una struttura che accogliesse e curasse i malati psichici.
La storia della psichiatria è legata a quella della sua istituzione per eccellenza: il manicomio. In Italia, la legge 36 del 14 febbraio 1904 “sui manicomi e sugli alienati” sanciva che: “debbono essere custodite e curate nei manicomi le persone affette per qualsiasi causa da alienazione mentale quando siano pericolose a sé o agli altri o riescano di pubblico scandalo e non siano e non possano essere convenientemente custodite e curate fuorché nei manicomi”.
manicomi erano strutture situate all’esterno della città, dove l’individuo, o come allora si usava dire, “l’alienato”, perdeva non solo i suoi diritti civili, ma anche la dignità di uomo e divennero luoghi di reclusione, depositi senza tempo, dove il concetto di cura andava perdendosi. Dagli anni ‘30, con l’introduzione delle terapie di shock ed in seguito, dagli anni ‘50, con la scoperta e con l’uso terapeutico dei primi psicofarmaci, si assiste ad un primo grande cambiamento e si comincia a parlare ed a relazionarsi al paziente ed alla malattia mentale in un nuovo modo e con un nuovo codice.
La legge 431 del 18 marzo 1968 prevede poi la ristrutturazione degli ospedali psichiatrici, l’inserimento della psichiatria anche negli ospedali civili, l’istituzione del ricovero volontario, l’abolizione dell’obbligo di annotazione dei provvedimenti di ricovero nel casellario giudiziario. Molti anni dovranno ancora passare prima che i cambiamenti innescati da Franco Basaglia si compiano nella loro interezza, infatti solo alla fine degli anni ‘70 si arriverà ad un radicale cambiamento nell’approccio alle malattie mentali.
Nel 1978 venne approvata la legge 180, la quale prevede il superamento degli ospedali psichiatrici, l’integrazione dell’assistenza psichiatrica nel sistema sanitario nazionale, la creazione di strutture territoriali per l’assistenza psichiatrica in strutture specifiche e la limitazione del trattamento sanitario obbligatorio in condizioni di degenza e solo in caso di grave pericolosità per sé o per gli altri e in caso di incapacità o rifiuto delle terapie farmacologiche.
A seguito della Legge 180 vengono progressivamente smantellati gli ospedali psichiatrici, all’interno dei quali rimangono ricoverati i pazienti internati prima dell’entrata in vigore della legge. Per tutti i nuovi pazienti si prevede il ricovero in reparti di psichiatria presenti negli ospedali civili.
Si aprono le porte del manicomio e con esse nuove prospettive per la pratica clinica, ancora tutta da riorganizzare.
Il servizio psichiatrico è costituito dal Dipartimento di Salute Mentale (DSM) da cui dipendono le Unità Operative Psichiatriche, a loro volta articolate in vari presidi tra cui l’ SPDC (Servizio Psichiatrico di Diagnosi e Cura) e il CPS (Centro Psicosociale) coordinatore di attività territoriali ambulatoriali psichiatriche, psicoterapeutiche e riabilitative.
Dipendono inoltre dalle Unità Operative Psichiatriche il CRT (Centro Residenziale di Terapia Psichiatrica) deputato ai trattamenti a medio e/o lungo termine le CP (Comunità Protette) strutture abitative rivolte a soggetti che necessitano di interventi riabilitativi e/o assistenziali di più lunga durata.
Ci sono infine le strutture semiresidenziali a cui appartengono i Day Hospital ed i Centri Diurni all’interno dei quali si svolgono attività prevalentemente riabilitative, durante l’arco della giornata, dirette a pazienti che non necessitano di strutture residenziali ma per i quali risulta insufficiente il trattamento ambulatoriale.
Tutti questi servizi sono collegati tra loro e coordinati in un progetto messo a punto dal Centro Psicosociale di riferimento e mirato alla presa in carico del paziente. I servizi nascono e si poggiano sul lavoro di équipe, strumento privilegiato attraverso il quale passa e si realizza la cura del paziente. Nel tempo si è reso necessario ridefinire i modelli teorici di riferimento per l’équipe psichiatrica, sviluppati per la gestione istituzionale, per adeguarli ad una più ampia gestione anche sul territorio.
L’OMS definisce la salute come “uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale e non la semplice assenza dello stato di malattia o di infermità”. Partendo da tale definizione il modello bio-psico-sociale si configura come fra quelli più adeguati ed impone di riprogrammare interventi che “costruiscano e percorrano la rete delle relazioni sociali”. Per quanto riguarda questo passaggio grande merito va alla Psicologia della salute, che ha dimostrato il ruolo dello stile di vita e dello stress nella morbilità e nella mortalità, elaborando una serie di modelli teorici che aiutano a comprendere gli effetti di questi fattori sulla nostra salute.
Uno degli aspetti che la psicologia ha messo in evidenza è che la salute, le malattie e le disabilità non esistono nel vuoto sociale, ma nascono e si inseriscono in contesti relazionali, sociali e culturali. Su questi principi Engel, nel 1977, elabora il Modello Bio-Psico-Sociale, in base al quale il processo diagnostico necessita di prendere in considerazione aspetti biologici, psicologici e sociali nel valutare lo stato di salute e prescrivere un’adeguata terapia.
Malgrado il “sofferente psichico sia oggi oggetto di attenzione nel tentativo di recuperarne una dimensione più umana”, la misura del ricovero in OPG, ospedali deputati all’assistenza dei malati psichiatrici autori di reato, ha finora resistito ad ogni tentativo di riforma da parte del Governo Italiano. Nonostante l’attenzione e la volontà di non ripercorrere la strada che ha reso ingiusta e disumana la storia dei manicomi e dei manicomi criminali, molto ancora deve essere compiuto perché si giunga ad una comprensione storica, sociologica e giuridica che interessi l’istituzione totale degli OPG. Gli OPG sono a lungo rimasti una realtà complessa, sfaccettata e stagnante, oggetto di denunce per le condizioni dei ricoverati, in alcuni casi incompatibili con la tutela dei diritti fondamentali.
E’ un dato di fatto che alla giustizia servano luoghi che si occupino di malati psichiatrici violenti. La riflessione era se gli OPG fossero ancora i luoghi più adatti, l’unica soluzione per poter gestire quella delicata ed a volte troppo eterogenea categoria di soggetti, di imputati, di condannati, che li abita. Tale riflessione non può prescindere dall’analisi di quattro componenti fondamentali quali le strutture, gli internati, il personale e le risorse finanziarie.
Le strutture che ospitavano gli OPG rimandavano a destinazioni d’uso che poco avevano a che fare con la loro natura ospedaliera. Si trattava infatti di strutture destinate a conventi, caserme, carceri o, nel caso specifico di Castiglione delle Stiviere ad esempio, di semplice modifica della destinazione di ospedale psichiatrico civile, già abolito, in OPG.
Per quanto riguarda gli internati, essi potevano essere:
- Soggetti prosciolti per infermità mentale, e sottoposti al ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario in quanto socialmente pericolosi, e quindi non imputabili ma socialmente pericolosi.
- Soggetti con infermità mentale sopravvenuta per i quali sia stato ordinato l’internamento in ospedale psichiatrico giudiziario o in casa di cura e custodia (vi rientrano ad esempio gli internati in doppia diagnosi).
- Imputati provvisori sottoposti a misura di sicurezza in ospedale psichiatrico giudiziario in considerazione della presunta pericolosità sociale ed in attesa di un giudizio definitivo.
- Soggetti con vizio parziale di mente, dichiarati socialmente pericolosi ed assegnati alla casa di cura e custodia.
- Minorati psichici, categoria complessa poiché vi rientrano soggetti considerati imputabili che presentano, già al momento del fatto, una patologia psichiatrica che non consente la permanenza in un istituto ordinario ma non sufficientemente grave da comprometterne la capacità di intendere e volere.
- Detenuti condannati, per i quali l’infermità di mente sia sopravvenuta durante l’esecuzione della pena o, infine, detenuti per i quali deve essere accertata l’infermità psichica.
Le criticità emergenti riguardavano l’assenza di un servizio di diagnosi e cura in grado di farsi carico di tali situazioni se non con il trasferimento del detenuto in OPG e la disomogeneità della popolazione internata, in particolare per gli aspetti personologici, criminali e clinici.
Gli OPG sul territorio italiano erano 6 ed accoglievano più di 1400 persone. L’obiettivo del legislatore, che ne autorizzò la creazione, era quello di garantire cure adeguate alle persone con infermità mentale e fronteggiarne la “pericolosità sociale”.
Il codice penale prevede la durata minima della misura di sicurezza, in 2, 5 o 10 anni, in relazione alla gravità del reato commesso, ma non si pronuncia rispetto alla possibile durata massima dell’internamento che, in assenza di alternative, si traduceva spesso in “ergastoli bianchi” ovvero la permanenza in OPG a vita. Alcune segnalazioni ed ispezioni appurarono le condizioni disumane di detenzione dei pazienti.
Già nel 1974, in seguito al decesso di una donna, avvenuto per l’incendio del materasso al quale era legata, l’allora Ministro della Giustizia Oronzo Reale, dichiarò che il Governo si sarebbe impegnato per la chiusura degli OPG. Ma nonostante diverse sentenze della Corte Costituzionale abbiano ribadito la possibilità di adottare la libertà vigilata quale alternativa all’internamento negli OPG, ci sono voluti trentaquattro anni prima che il Decreto del Presidente del Consiglio del 1 aprile 2008 sancisse il loro superamento e che la legge numero 9/2012 individuasse nel 1 febbraio 2013 la data entro la quale gli OPG avrebbero dovuto essere chiusi, data che è stata prorogata al 1 Aprile 2014.
Nel 2010 viene avviata una commissione parlamentare di inchiesta sull’efficacia e sull’efficienza del Servizio Sanitario Nazionale ed Ignazio Marino ne fu il responsabile. L’inchiesta così voluta, consentì ai tecnici della commissione parlamentare di recarsi personalmente, con sopralluoghi a sorpresa, presso tutti gli OPG presenti sul territorio italiano e verificare le condizioni sanitarie, strutturali, amministrative. Il degrado di cui furono spettatori venne definito dal Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano “un orrore inaccettabile in un paese appena civile”. La commissione a seguito della drammatica realtà trovata decise di rendere pubblico un video, che riporta le immagini, le voci e le dichiarazioni dei condannati all’ergastolo bianco, per rendere consapevoli le istituzioni e l’intera società di quell’inferno silenzioso e dimenticato.
Nell’Ospedale Psichiatrico Giudiziario di Barcellona Pozzo di Gotto (provincia di Messina) la commissione, ispezionando il reparto di contenzione, ebbe modo di vedere come i detenuti venivano trattati. Trovarono uomini denudati, legati ad un letto di ferro, senza materasso, senza lenzuola. Le mani e i piedi legati, con delle garze utilizzate come corde, ai quattro angoli della struttura in ferro e al centro del letto, un buco per la caduta delle feci e delle urine in un pozzetto sottostante. Condizioni e contenzioni queste che potevano durare giorni.
La legge numero 9/2012 stabilisce definitivamente che a decorrere dal 31 marzo 2013 le misure di assistenza degli ex degenti degli OPG sarebbero state eseguite esclusivamente all’interno di strutture sanitarie, fermo restando che le persone che avevano cessato di essere socialmente pericolose dovevano essere senza indugio dimesse e prese in carico dai Dipartimenti di Salute Mentale del territorio. Venne previsto lo stanziamento di una serie di finanziamenti per la realizzazione di nuove strutture, per il completamento del processo e per lo svolgimento di attività di monitoraggio e verifica durante l’intero processo.
Le Regioni sono state dunque chiamate a far fronte alla necessità di individuare, creare e sostenere luoghi che possano accogliere e curare i pazienti detenuti presso gli OPG. Le A.S.L. delle Regioni italiane stanziarono fondi e disposero per la creazione di nuove strutture e nuove équipe necessarie per la presa in carico di questi pazienti.
Alcune regioni sono state più efficienti di altre ma oggi il quadro è completo seppur con molte differenze fra REMS (Residenza per l’Esecuzione di Misure di Sicurezza Sanitarie), che finiscono per mettere a rischio il principio di uguaglianza nel trattamento. Attualmente sul territorio italiano sono operative 28 REMS, per un totale di 624 posti disponibili e con il trasferimento degli ultimi 2 internati dall’OPG di Barcellona Pozzo di Gotto nel maggio del 2017 si è conclusa la secolare storia dei manicomi criminali in Italia, poi detti manicomi giudiziari, OPG.
Le REMS sono nate per garantire l’esecuzione della misura di sicurezza e al tempo stesso l’attivazione di percorsi terapeutico-riabilitativi.