Questo mese d’aprile sarà ricordato come il mese della quarantena, ma è anche – a livello mondiale – il mese della sensibilizzazione sul maltrattamento infantile. Le due cose hanno un collegamento molto più forte di quello che si potrebbe pensare.
Sui social network siamo inondati di notizie, immagini e storie che mostrano una presunta quarantena ideale. Si cucina, ci si allena magari con un po’ di yoga, si mettono finalmente in ordine gli armadi, mentre i figli portano avanti un’ordinata routine di lezioni a distanza, tutti insieme e in famiglia.
#iorestoacasa é il messaggio/parola d’ordine che si è diffuso in tutto il mondo per proteggerci dall’epidemia e da noi stessi. E non ci sono dubbi che il distanziamento sociale e l’isolamento prevengano una maggiore diffusione del contagio. D’altra parte, quell’hashtag presuppone che ci sia una casa che accoglie e protegge dai pericoli esterni. Ma molti una casa non ce l’hanno e altri, spesso bambini, vivono situazioni di maltrattamento fra le mura domestiche. Per molti il pericolo non sta solo fuori, e adesso si trovano rinchiusi per decreto soffrendo senza via di fuga di abusi psicologici, fisici o sessuali, oppure assistono impotenti a episodi di violenza fra i genitori.
Ricordiamo che in Italia 427mila bambini, solo negli ultimi cinque anni, sono stati testimoni diretti o indiretti dei maltrattamenti in casa nei confronti delle loro mamme, quasi sempre per mano dell’uomo.
Secondo Save the Children, in Europa, un minore ogni dieci viene maltrattato fisicamente in famiglia, tre su dieci soffrono di maltrattamenti emozionali e due su dieci vivono in stato di precarie condizioni fisiche. Numeri che dicono che anche se a parole la maggior parte degli adulti rifiuta la violenza sui minori, nella pratica sono in molti ad esercitarla. È un’ampia generazione che è stata educata, e adesso educa a sua volta, secondo un modello basato sulla violenza: grida, minacce, sprezzo, tirate d’orecchie, strattoni, castighi fisici o isolamento. Sono azioni in qualche modo naturalizzate e giustificate da genitori ed educatori che ancora pensano che “uno schiaffo ogni tanto non fa male”.
In una situazione di emergenza e tensione la violenza cresce e cala la capacità di aiuto. Oggi, tutta l’attenzione sta nel virus e nella prevenzione, l’epidemia è l’unica vera preoccupazione, la più pericolosa per la salute di tutti noi. I bambini vivono questo periodo con ancora maggiore stress, che può trasformarsi in una situazione traumatica. Tanto le nuove necessità scolastiche e di svago, come le condizioni ambientali per tutta la famiglia sono fattori che aumentano il rischio che si manifesti la violenza domestica.
Molti, fra i più fragili ed esposti, sono rimasti senza aiuto né rifugio. La quarantena impedisce il ricorso a un aiuto esterno e di colpo sono rimasti soli. Per i bambini che sono vittime di una qualche forma di abuso domestico, la scuola non è solo un posto dove imparare cose ma anche una casa alternativa e sicura. Per alcuni, starsene chiusi in casa equivale alla continua minaccia, come una tortura.
Per tutti loro, aver perso l’accesso ad altri spazi, anche terapeutici, significa non avere più ambienti che offrano una realtà diversa, uno sguardo tranquillizzante. La terapia e il supporto psicologico sono cose difficili da portare avanti con un bambino: diventa quasi impossibile rompere il timore a rivelarsi, il gioco non funziona ed ancora più complicato instaurare o mantenere un rapporto di fiducia. Come può un bambino sentirsi libero di parlare degli abusi di un adulto che magari siede a pochi passi da lui nella stessa stanza?
In questi giorni si moltiplicano gli esempi di queste situazioni: in un caso, chiamando un piccolo paziente per sapere come stava e aiutarlo a organizzare i compiti scolastici, ci siamo confrontate con la madre, che esercita una stretta “disciplina correttiva” sul bambino, che ha chiesto di mettere la chiamata in vivavoce: con questo tipo di controllo l’incontro riservato è impossibile.
L’isolamento rischia di peggiorare le cose in famiglie dove già esiste una situazione di violenza. In altre può far scoppiare nuovi conflitti relazionali. Ansia, angustia e incertezza spingono al limite la tensione, e stando chiusi in casa è più difficile rimandare il momento di scarico. La convivenza forzata è frustrante e aumenta l’aggressività. Immaginiamo genitori che a volte sgridano violentemente il figlio perché porta rumore e disordine al ritorno da scuola: cosa succede se grandi e piccoli sono costretti a stare chiusi in casa insieme tutto il giorno?
La scuola a distanza è un’altra fonte potenziale di problema. I bambini che hanno maggiori difficoltà di apprendimento sono quelli che più facilmente esasperano i genitori, che si lamentano e attribuiscono la propria stanchezza al bimbo che “non capisce, si distrae, non è capace”. Così, per alcuni genitori, questo diventa la giustificazione per scoppi d’ira ed infliggere punizioni severe, a volte fisiche. Difficile snaturalizzare questi atteggiamenti, che ancora oggi sono socialmente accettati e non considerati per quello che sono: maltrattamento infantile.
I bambini vittime di maltrattamenti si trovano fra due fuochi: da un lato la necessità di capire e processare, attraverso la loro stessa vulnerabilità, la situazione straordinaria che tutti stiamo vivendo e che per loro vuol dire nuove modalità di apprendimento, di gioco e di relazione con il mondo. Dall’altro lato l’obbligo di rimanere continuamente in un contesto familiare che genera tensioni e paure: praticamente una bomba a tempo.
Ogni crisi porta con sé infinite possibilità di cambiamento. Dobbiamo approfittarne per promuovere maggiore coscienza sugli abusi a cui sono esposti i minori e cambiare il nostro modo di affrontarli. Dargli tutta la visibilità possibile, durante questa emergenza sanitaria, impedirà che si continui a minimizzare e persino negare il problema.
In una situazione di violenza i bambini sono vittima dell’abuso di potere degli adulti. Un’infanzia felice invece dura per tutta la vita, e può evitare che si replichino modelli problematici.
Con la collaborazione della professoressa Constanza Robledo