Immaginiamo di ricevere un invito a un evento tramite e-mail da parte di un amico di un amico. Per quanto si possa essere interessati all’evento, non conosciamo praticamente nulla della persona che ci ha invitati, l’indirizzo di posta non contiene segnali narcisistici e all’interno del messaggio non ci sono Emoticon. Probabilmente stiamo ancora cercando di formare un’impressione sulla persona, ma prima di rispondere decidiamo di cercare il contatto sui motori di ricerca e sui social.
Le impressioni sulle home page
Una ricerca sulle Home page pubblicamente accessibili ha rivelato che i proprietari e autori delle pagine non tendono a mostrare un’immagine alternativa di Sè particolarmente diversa da quella reale. Quindi ciò che emerge non è un’identità frammentata, ma integrata e stabile, volta a mettere in luce le qualità che la persona ritiene importanti, accreditate talvolta da una o più recensioni positive. Solomon Asch ha dimostrato come il “calore” domini la formazione delle impressioni: attraverso questi siti gli autori cercano di presentare la propria identità in maniera più “calda”, vale a dire regolando la temperatura della loro autopresentazione a un livello più elevato. Nelle pagini professionali contenenti un curriculum vitae invece, vengono messi in luce aspetti della personalità circoscritti ad un contesto specifico e in qualche modo finalizzati a un risultato.
Le impressioni sui social network
La home page professionale è un manifesto pubblico, mentre un profilo social può essere maggiormente controllato in termini di fruibilità e diffusione delle informazioni: una pagina social infatti è in grado di limitare le informazioni a una cerchia di conoscenti, i quali possono ulteriormente essere schermati da alcuni interventi specifici. Allo stesso tempo la natura intrinseca del social è fortemente diretta a instaurare una certa “viscosità” nell’utente, suggerendogli di rivelare continuamente tratti della sua identità (ad esempio facebook invita a condividere “cosa stai pensando?”). Per lo stesso motivo un profilo social rivela anche ciottoli di identità esplicitamente dichiarati come l’orientamento religioso, politico, il livello di istruzione e i gusti sessuali.
Che impressione ci faremo di una persona visitando il suo profilo social?
Quando l’immagine parla per noi
L’avarizia cognitiva è quell’atteggiamento mentale che tende ad attribuire etichette stereotipate in relazione alla povertà di informazioni in possesso. Le immagini del profilo sono la prova più evidente di come un utente venga collocato in questa o in quella categoria, solo in base all’aspetto fisico mostrato nell’immagine di profilo. Uno studio condotto nell’università UCLA ha dimostrato l’impatto del genere e dell’età rispetto alla formazione delle impressioni. Le centoquaranta foto raccolte nella ricerca, sono state raggruppate dai soggetti in base a età e genere, quando invece i soggetti sono stati chiamati a descrivere i raggruppamenti hanno fornito solo caratteristiche personologiche e stereotipate (leader austeri, professionisti assorbiti dal loro lavoro, persone logorroiche, pettegole e ficcanaso). Un altro indizio importante riguarda l’avvenenza fisica, gli utenti dei social network infatti sono più inclini ad incontrare persone che sul profilo presentano una bella foto.
Difenditi dai nemici ma ancor più dagli amici!
Un fattore determinante alla formazione delle impressioni sui social network è la quantità di amici e la qualità dei post degli amici, anche in questo caso si è rivelato come si percepiscono più attraenti persone che sul proprio profilo vantino post di amici di bell’aspetto.
Residui comportamentali al servizio degli amici
I residui comportamentali che i nostri amici postano sul profilo contribuiscono a fornire un’immagine di noi. Basti immaginare un professionista che tende a mostrare un’immagine coscienziosa e competente di sè e invece si ritrova inabissato di tag e foto riguardanti serate festaiole, bagordi notturni e post sbornie. In un certo senso i residui comportamentali, non sotto il controllo del singolo possono avere maggior peso ai fini della formazione delle impressioni e offrire maggiori garanzie. In questo caso si potrebbe verificare una dissonanza tra quanto descritto nella voce “le tue informazioni” e l’opinione inesorabile degli amici che commentano. Nonostante nessuno prenda sul serio ciò che un profilo offre, si è evidenziato come basti veramente poco per formarsi un’impressione. Inoltre il modo in cui si formano queste impressioni rispecchia sempre o quasi sempre le stesse caratteristiche: l’estroversione viene attribuita a chi vanta un numero maggiore di amici e a chi è taggato in foto in cui è in compagnia di molti amici (meglio se avvenenti). Un altro predittore è il sorriso, chi nelle foto lo usa con cura, fornirà impressioni di maggior gradevolezza. Per l’apertura all’esperienza chi osserva attribuirà maggior rilievo all’ampiezza degli interessi offerti da un profilo. Come già descritto alcuni fattori vengono trascurati, altri invece vengono mostrati in maniera eccessiva: il titolare del profilo, ritratto da solo invece che in compagnia è probabilmente associabile a una maggiore apertura all’esperienza sociale, ma questo si tende ad ignorarlo. Un indizio fuorviante, che nella maggior parte dei casi tende a offrire un’immagine inesatta del sè, consiste nell’effetto alone e nell’avarizia cognitiva, che vuol dire considerare come più brillante e gentile qualcuno con una bella foto o che viene ritratto in contesti sociali di livello elevato. Si tende anche a considerare più sensibile alle reazioni negative chi non posta in continuazione o chi non aggiorna spesso il proprio profilo. Anche questo indizio è fuorviante e il nevroticismo ad esso connesso è quasi impossibile da valutare con queste premesse.
Un fenomeno che avviene frequentemente riguarda il caso in cui su un profilo venga pubblicata una foto riguardante un Party sfrenato, ciò non rappresenta esattamente l’immagine che la nonna e i familiari vorrebbero vedere. Questo fenomeno si chiama “collasso del contesto” e si riferisce al momento in cui audience multiple si fondono in maniera imprevedibile, rendendo arduo per il proprietario del profilo gestire un’impressione autentica rispetto all’altra. L’amico intimo commenta in maniera piccante una foto divertente, senza sapere quale pubblico il gestore del profilo abbia selezionato. Recentemente si sta diffondendo l’approccio del “minimo comun denominatore”, in cui la propria identità viene diluita per non “scontentare” nessuno, in caso il gestore del profilo vanti una rete mista di contatti. Alcuni professionisti, tra cui gli psicologi e gli avvocati, creano appositamente due profili riferiti a due audience differenti.
Abbi per il tuo profilo la stessa cura che hai nello scegliere i vestiti per andare a un evento
Non si sa ancora bene se sui social network si offra un’immagine reale e autentica della propria vita psichica e sociale, è chiaro però che ogni utente online non ha un solo sè, ma ciò che costituisce quel Sè ha una natura multi-sfaccettata e si modifica a seconda delle interazioni con altri e a seconda del contesto. Forse si dovrebbe essere più riservati con alcune persone e con altre sarebbe necessario relazionarsi in maniera più intima, nonostante le strategie dei social siano sempre più attente a questa tutela, alcuni utenti per sfinimento cancellano il proprio account e dato che chi non è sui social “non esiste” sparisce letteralmente dalla circolazione digitale.
Valerio Imondi
Bibliografia:
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