In questo articolo (reperibile qui: goo.gl/nvGh60) abbiamo affrontato il tema del “bersaglio dermatologico” scelto dalla mente nei disturbi psicosomatici.
Nell’articolo che segue ci occuperemo di un altro sistema che spesso viene identificato come via di espressione di un disagio psichico: si tratta del Sistema Cardiovascolare.
Il cuore rappresenta un forte indicativo della vita degli esseri umani, soprattutto nelle afflizioni. Si dice: “ho il cuore in gola”, “ho avuto un tonfo al cuore”, “mi si spezza il cuore”. Variazioni di natura psichica, emotiva ed affettiva giocano un ruolo importante nella vita ed hanno una ricaduta rilevante sull’attività cardiaca.
Si pensi a come indicazioni dell’ansia o di un malessere psichico siano legati a rossore, sbiancamento, vampate di calore, ecc. Attese, incombenze, stress agiscono a livello psicofisico con la produzione di ormoni e neurotrasmettitori che agiscono sul sistema cardiocircolatorio, innalzando o abbassando la frequenza cardiaca e creando una serie di reazioni a livello del sistema cardiocircolatorio.
Momenti e situazioni ansiogene e di stress portano percezioni a livello fisico molto forti, tanto da sentire il battito cardiaco costantemente nelle orecchie, fino a rilevare bruciore agli occhi, senso di costrizione al petto, aumento della pressione, disorientamento, formicolii, turgidità degli arti. Spesso la strategia vincente da mettere in atto nell’immediato può essere quella di spezzare queste condizioni razionalizzando i pensieri, oppure muoversi per far affluire il sangue e ridurre la pressione, o ancora ricorrere all’uso di farmaci. Tuttavia, in questo caso si va ad agire sulla crisi che rientra nel giro di qualche minuto, ma che lascia oltre ad un sentimento di pace anche uno stato di sfinimento, di astenia proporzionali alla quantità di energia psichica e fisica dissipate. Questo è ciò che avviene a seguito di un episodio acuto.
Cosa succede, però, quando la situazione diventa cronica? Le funzioni strutturali modificate nel tempo da pensieri, sensazioni, emozioni e comportamenti errati rendono l’organismo più vulnerabile e ricettivo all’azione della mente sul corpo con conseguente incapacità di tornare alle condizioni di equilibrio e omeostasi corporea tipiche di un tempo. Quando ci troviamo di fronte ad un stimolo avverso percepibile, la risposta cardiaca avviene lentamente provocando un aumento costante della pressione, del consumo di ossigeno, dell’eccitabilità miocardica: la classica sensazione in cui “sale l’ansia”. Nel caso di stimolo imprevedibile ed immediato spesso invece si ha un cedimento improvviso. L’ansia, in questo caso favorisce molto lo sfondo emozionale su cui si può instaurare l’episodio anginoso, ciò è legato anche al ritorno alla mente di situazioni, circostanze ed eventi già vissuti poiché non esiste solo il ricordo della mente, ma anche del corpo che registra eventi, situazioni e scenari già conosciuti.
Condizioni tipiche della vita degli individui come lutti, perdite lavorative o finanziarie, pensionamento, ecc. sono tutti elementi che favoriscono una tensione mentale e fisica che possono ripercuotersi sul sistema cardiocircolatorio, così come condizioni di litigiosità ed ostilità aumentano i rischi.
Secondo una prospettiva psicodinamica, esiste un nesso tra le caratteristiche personologiche dell’individuo e l’infarto del miocardio, una tendenza aggressiva repressa che in taluni casi può essere modificata in alta competitività e bisogno di autoaffermazione. Ciò è legato all’interiorizzazione di figure parentali vincenti con cui si stabilisce un forte rapporto di conflittualità basato su concorrenzialità e competitività. Per evitare la ferita narcisistica il soggetto vive in una sorta di confronto continuo e deve tenere sott’occhio la propria prestazione ed efficienza. La pressione arteriosa diviene per gli ansiosi e per gli ipocondriaci una sorta di killer che si insinua subdolamente per attaccare all’improvviso. Ecco che scattano strategie di osservazione ben conosciute da chi vive questo disagio e dagli addetti a lavori: rilevazione e verifica continui attraverso rituali ossessivi di misurazione del battito, della pressione, delle pupille, associati ad un febbrile controllo del proprio stato di salute, attraverso esami inutili. Autosservazioni ed automisurazioni possono anche essere vantaggiose poiché riducono il cosiddetto “effetto camice bianco” ma quando diventano ossessive creano effetti condizionatori in cui anche scarti minimi nei valori portano a malesseri legati a ricordi di eventi stressanti ed ingestibili. Una comune sintomatologia che affligge chi soffre di questi malesseri è legata ai formicolii che possono colpire le estremità (mani e piedi) ma anche labbra, lingua, volto. Ciò provoca un aumento dell’apprensione del paziente che neanche accarezzamenti e massaggi possono far scomparire lasciandolo in una condizione di panico che perdura per lungo tempo.
In definitiva bisogna tener conto che nella scelta del bersaglio cardiovascolare forte è il coinvolgimento cognitivo-affettivo-somatico nel quale l’aspetto psicobiologico risponde adattandosi in modo più o meno efficace alle sollecitazioni esterne ed interne. Ciò porta ad una sorta di condizionamento e ad una vulnerabilità che caratterizzano un inevitabile automatismo del fenomeno.
BIBLIOGRAFIA:
Dinelli U., (2005), Siamo tutti psicosomatici? L’astuzia della mente sulle ingenuità del corpo, Marsilio, Venezia
© Dott. Pasquale Saviano
Psicologo – Psicoterapeuta