IL TERMINE
Un termine un po’ abusato? Un po’ di moda? Un po’ travisato? A tratti sì.
Spesso sentiamo appellare con il termine “border” tanti atteggiamenti, comportamenti e attitudini che si discostano dal senso comune, che sfiorano l’eccesso, che si allontanano dal confine; questo confine inteso come linea di demarcazione con ciò che socialmente viene accettato e metabolizzato. Spesso però questa accezione viene estesa anche a ciò che è, legittimamente, una forma di libera espressione conferendo a questo termine un campo di utilizzo più ampio, meno patologico, adesivo alle dinamiche dello slang mediatico. Ma cosa intende la psicologia con l’aggettivo “border” e quale sia la vera accezione clinica del termine quasi nessuno lo sa.
Cosa si intende con Disturbo Borderline di personalità? Nulla che vale la pena trattare con leggerezza, perché chi ne soffre si trova in una situazione di rischio e disagio. E il disagio che ci si accinge a raccontare riguarda per lo più la sfera emotiva e relazionale di questi pazienti che, ad un certo punto della loro storia infantile, hanno imparato che la vicinanza con l’altro può essere pericolosa, frustrante e non stabile. Le prime figure di accudimento hanno perciò creato un terreno per cui il bambino, bisognoso di conferme e sicurezza, inizia a dubitare della sua capacità di farsi amare in maniera stabile; ed è da queste prime esperienze che si struttura il movimento tipico delle personalità border, ovvero quello di oscillare tra il bisogno di vicinanza per la paura dell’abbandono e il concomitante bisogno di distanza mosso dalla stessa paura e dal ricordo delle ferite prodotte dalla vicinanza stessa. Il loro continuo spostare l’assetto emotivo tra questi poli li costringe dunque ad una vita alla continua ricerca della corretta posizione all’interno di questo continuum relazionale; la fatica che ne consegue è spesso il motore che li spinge a dover chiedere aiuto.
COSA PUÒ FARE LA TERAPIA?
L’aiuto terapeutico è volto al sostenere i sentimenti di vuoto che spesso accompagnano le personalità di tipo border e che li portano spesso al bisogno di riempirli con emozioni ad elevate scariche adrenaliniche, come il bere, guidare in modo spericolato o impegnarsi in turn over affettivi spesso promiscui. Questo non significa che tutti noi non abbiamo, in certi momenti di vita, timore di essere abbandonati o sofferenza per una relazione che sentiamo invaderci, perché come sostenuto più volte in questi articoli, i disturbi di personalità sono dei tratti, del tutto normali, che vengono esasperati. La vera differenza è data dalla reazione emotiva conseguente ad alcune situazioni di vita comuni, a volte dolorose, a volte connotate di emozioni positive, ma entrambe, per chi ha questo disturbo, difficili da regolare. Sempre in ambito terapeutico, si lavora sul rallentamento di questa alternanza di stati emotivi, sull’accettazione di stati emotivi dolorosi senza la necessità di anestetizzarli e sul giudizio interno di amabilità del sè.
Un altro importante obiettivo terapeutico è quello di ristabilire relazioni capaci di dare gioia e soddisfazione e che non facciano sentire gli altri strumentalizzati, confusi dalle continue oscillazioni temperamentali dei pazienti border ma capaci di restare in relazione senza correre rischi. La stabilità relazionale conferisce al paziente una nuova immagine di sè, che è quella di una persona degna di amore e vicinanza, interrompendo il circolo vizioso che vede nell’altro che si allontana perchè confuso, la conferma della propria non amabilità.
Importante quindi, durante la crescita dei nostri figli, è trasmettere loro una costanza affettiva, anche nelle inevitabili situazioni di conflitto e non punire con la solitudine i momenti in cui amarli è più difficile.
Dott.ssa Francesca Guzzo
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