Sono il Dottor B e scrivo questo articolo per rispondere alle polemiche scatenate ieri da questa mia riflessione che la pagina Facebook Psicologia ha gentilmente pubblicato.
È più facile credere in Dio dove i mezzi pubblici non passano in orario, gli ospedali non funzionano, le case non resistono ai terremoti e il lavoro manca. Insomma, dove il progresso non porta alcun vantaggio anche l’uomo più razionale cederà alla tentazione di sperare nei miracoli
Molti tra quelli che l’hanno letta si sono indignati. Le critiche e gli insulti sono abbastanza eterogenei ma riassumendo quello che mi viene contestato è l’aver attribuito la tendenza a credere in Dio a chi non ha studiato, ai poveri di ingegno o più in generale ai cretini.
Io questo non lo credo e siccome il messaggio che è passato è questo significa che la frase qui sopra è scritta male. Ho sbagliato, mi scuso e provo a spiegare cosa volevo dire.
#1 L’orgine di questo pensiero
Non ricordo in quale libro, ma sono certo di aver letto qualcosa di simile in Ennio Flaiano. Per chi non lo conoscesse è il genio che stava dietro a molte sceneggiature di Federico Fellini. Per chi non lo conoscesse è il regista di capolavori come La dolce vita, 8 e 1/2 e La strada. Per chi non li conoscesse ne consiglio vivamente la visione.
Un concetto simile è espresso anche nel libro La possibilità di un’isola di Michel Houllebecq. L’autore prova a teorizzare l’ascesa di un nuovo credo che fornisca alle menti più razionali, figlie di un’epoca dove il misticismo ha ceduto il passo alla conoscenza, una nuova speranza di vita dopo la morte.
Sono certo che qualche filosofo avrà affrontato questo tema in modo analitico ma la mia sconfinata ignoranza non me l’ha fatto incontrare. Sarebbe fantastico se qualche lettore più avveduto di me volesse segnalarmelo.
#2 Non è vero che Dio è una cosa da cretini.
Non penso che credere in Dio sia una debolezza.
Non penso che solo le persone poco istruite credano in Dio.
Non penso che si possa giudicare la scelta o la necessità di credere o non credere in Dio.
Penso che credere in Dio sia una cosa talmente intima ed emozionante da cogliere in fallo qualsiasi discorso generale a riguardo. Generalizzare ha come peculiarità l’incapacità di afferrare minuziosamente le differenza individuali, cercare dei punti in comune in qualcosa di diverso per tutti è sicuramente un interessante esercizio filosofico, ma mi interessa poco.
Penso che della fede si possa parlare a tu per tu con la persona che hai davanti. Mi è capitato di farlo in una comunità dove ho incontrato un ragazzo musulmano, orfano e pieno di problemi, che si stava lasciando sedurre da quei fanatismi religiosi che stanno alla base del terrorismo. Quel singolo caso a mio avviso era malattia, perché la sua fede stava diventando qualcosa di negativo e potenzialmente pericoloso.
Posso discutere e intervenire sugli effetti che la religione provoca su una persona che ho davanti, ma non mi permetterei mai di criticare la religione musulmana, cattolica, buddista, eccetera in generale.
#3 Cosa voleva dire quella frase
Rileggendo la frase ho intuito qual è il suo errore. Il soggetto non è Dio, bensì i miracoli, quindi dovrebbe essere riformulata così.
È più facile credere nei miracoli dove i mezzi pubblici non passano in orario, gli ospedali non funzionano, le case non resistono ai terremoti e il lavoro manca. Insomma, dove il progresso non porta alcun vantaggio anche l’uomo più razionale cederà alla tentazione di sperare nei miracoli
Purtroppo per evitare la ripetizione ho sostituito il primo “miracoli” con “Dio”. Una scelta scellerata, lo ammetto.
Il senso della frase era denunciare la società, laddove non garantisce ai suoi cittadini l’accesso a un livello sufficiente di conquiste tecniche. Denucia necessaria perché l’alternativa, cioè sperare nei miracoli, è una delle cose più pericolose che ci siano al mondo.
Chi spera nei miracoli abbandona la medicina tradizionale per gettarsi nelle mani dei santoni.
Chi spera nei miracoli assume un atteggiamente passivo verso i problemi confidando in qualche intervento estraneo al suo impegno.
Chi spera nei miracoli è meno incline a verificare, informarsi, studiare e può essere più facilmente manipolato da chi vuole sfruttarlo.
Però, è ovvio, i mezzi pubblici non passano in orario, gli ospedali non funzionano, le case non resistono ai terremoti e il lavoro manca, come può il nostro cervello fidarsi del reale.
I miracoli invece, nell’immaginazione sono sempre perfetti. Quando arrivano risolvono tutto.
Ne deriva una fiducia per il soprannaturale e una diffidenza per tutto ciò che è opera dell’uomo.
Ecco quello che volevo dire, è sbagliato diffidare dell’uomo. Dovremmo avere più fiducia in lui, nelle sue azioni, nelle sue emozioni e nei suoi sforzi per migliorare il nostro passaggio nel mondo.
Anche perché l’uomo siamo sicuri che esiste, Dio no.