“Ci sono Papalagi che affermano di non avere mai tempo. Corrono intorno come dei disperati, come dei posseduti dal demonio e ovunque arrivino fanno del male e combinano guai e creano spavento perché hanno perduto il loro tempo. Questa follia è uno stato terribile, una malattia che nessun uomo della medicina sa guarire, che contagia molta gente e porta alla rovina.”
Questa è una pagina tratta dal saggio antropologico di Erich Scheurmann, Papalagi: Discorsi del Capo Tuiavii di Tiavea delle Isole Samoa. L’artista tedesco, amico di Herman Hesse, durante la Prima Guerra Mondiale fuggì nei mari del Sud, e nel 1920 raccolse in un libro le riflessioni di un capo villaggio polinesiano che rimase sconvolto dopo un viaggio in Europa. Battezzando gli europei col nome di papalagi (uomo bianco), ne descrisse abitudini ed idee considerate univocamente assurdi segni di malattia da parte di quel popolo di indigeni che, seppur privo di scrittura ed istruzione, pareva possedere una profonda comprensione della vita, considerata in modo molto diverso rispetto agli uomini civilizzati.
“Non ho mai capito bene questa cosa e penso appunto che si tratti di una grave malattia. ‘Il tempo mi sfugge !’, ‘Il tempo corre come un puledro impazzito !’ ‘Dammi un po’ di tempo!’: questi i lamenti più comuni pronunciati dell’uomo bianco.”
“..Il Papalagi sopra ogni cosa ama ciò che non si può afferrare e che pure è sempre presente: il tempo. E di questo fa grande scalpore e sciocche chiacchiere. Sebbene non ce ne sia mai più di quanto ne può stare tra il levarsi e il cadere del sole, lui non ne ha mai abbastanza.
Il Papalagi è sempre scontento del suo tempo e si lamenta con il grande spirito perché non gliene ha dato abbastanza. Sì, arriva a bestemmiare Dio e la sua grande saggezza, dal momento che taglia e ritaglia e divide e suddivide ogni nuovo giorno secondo un preciso sistema. Lo taglia proprio come si squarcia con il coltello una molle noce di cocco. E tutte le parti che taglia hanno un nome: secondi, minuti, ore. Il secondo è più piccolo del minuto, questo è più piccolo dell’ora; tutti insieme fanno le ore e bisogna avere sessanta minuti e molti più secondi prima di avere un’ora.”
“Quando si vuole fermarli, gridano arrabbiati: ‘Perché mi disturbi? Non ho tempo, vedi piuttosto di usare bene il tuo’. Fanno proprio come se un uomo che cammina in fretta avesse più valore e fosse più coraggioso di quello che cammina più lentamente.
Io credo che il tempo gli sfugga come una serpe gli sfugge da una mano bagnata, proprio perché lui cerca di tenerlo così stretto.”
Queste testimonianze ci fanno inevitabilmente riflettere sull’ossessione del tempo tipica della nostra società contemporanea. Noi uomini civilizzati siamo abituati ad una maniacalità nella pianificazione, attanagliati nella morsa di questo maestoso padrone del mondo che è il tempo, durante lo scorrere di epoche di vita scandite da traguardi, abilità, conoscenze la cui presenza o meno funge da netta separazione tra chi sarebbe o no normale, ovvero, “nella norma”. Ma non è forse la stessa imposizione di una norma una sorta di bizzarria rispetto all’imprevedibilità e al caos dell’esistenza e dell’universo stesso, sin dalla sua origine? Eppure trascorriamo gran parte della nostre esistenza aggrappati a pensieri, perdendoci la sacralità del Kairos, il momento supremo, opportuno, secondo i Greci, in contrapposizione al quantitativo e misurabile Kronos al quale siamo abituati e, forse, sottomessi.
“Il Papalagi [l’uomo bianco] pensa così tanto che pensare per lui è diventata un’abitudine, una necessità, addirittura un obbligo. Riesce solo con difficoltà a non pensare e a vivere con tutte le sua membra insieme.
Spesso vive solo con la testa, mentre tutti i suoi sensi sono profondamente addormentati. Anche se va in giro, parla, mangia e ride. Il pensare, i pensieri, che sono i frutti del pensare, lo tengono prigioniero. È una specie di ubriacatura dei suoi pensieri. Quando il sole splende bene nel cielo, pensa subito: «Come splende bene!». E sta sempre lì a pensare come splende bene. Ciò è sbagliato. Sbagliatissimo. Folle. Perché quando splende è meglio non pensare affatto. Un abitante delle Samoa intelligente distende le sue membra alla calda luce e non sta a pensare niente. Accoglie in sé il sole non solo con la testa, ma anche con le mani, i piedi, le gambe, la pancia, con tutte le membra. Lascia che la pelle e le membra pensino da sole. E queste da parte loro pensano, anche se in modo diverso dalla testa. Il pensare sbarra il cammino al Papalagi in molti modi, come un blocco di lava che non si può scansare. Pensa lietamente, ma poi non ride; pensa cose tristi, ma non piange. Ha fame, ma non coglie frutti di taro. È per lo più un uomo con i sensi che vivono in inimicizia con lo spirito: una persona che è divisa in due parti.”
Da sempre l’uomo ha cercato di dare risposta alla domanda fondamentale della filosofia: “Esiste il tempo?” , proponendo soluzioni diverse e contrapposte riguardo alla sua natura. Nonostante sia stata l’unico filosofo a non occuparsi del tempo, Socrate ci ha lasciato l’insegnamento più importante; nel discorso durante il processo precedente alla sua condanna a morte disse:
“una vita senza ricerca non è degna di essere vissuta”.
E’ questo il senso del fare riflessioni su ciò che una risposta definitiva non ha, frustrando il bisogno innato di certezze, sicurezze dell’uomo e della società contemporanea civilizzata. “Le uniche risposte a domande senza risposta hanno una sola risposta: lo faccio perché voglio capire pur sapendo che non vi è una risposta definitiva. La ricerca è interesse e curiosità, voglia di conoscere“, citando le parole del Prof. Paolo Taroni, storico della filosofia, al convegno “Filosofie del Tempo: concetto, esistenza e natura del tempo”. (*)
“Io dico che deve essere una strana sorta di malattia; perché, anche supponendo che l’uomo bianco abbia voglia di fare una cosa, che il suo cuore lo desideri veramente, per esempio che voglia andare al sole o sul fiume con una canoa o voglia amare la sua fanciulla, così si rovina ogni gioia, tormentandosi con il pensiero: “Non ho tempo di essere contento”. Il tempo è lì, con tutta la buona volontà, lui non lo vede. Nomina mille cose che gli portano via il tempo, se ne sta immusonito e lamentoso al suo lavoro che non ha alcuna voglia di fare, che non gli dà gioia e al quale nessuno lo costringe se non se stesso“.
Forse è bene impegnarsi quotidianamente per cercare la vita nell’unicità di ogni singolo istante, in serenità, ricordando quel proverbio che dice: c‘è più tempo che vita.
(*)
“Filosofie del Tempo: concetto, esistenza e natura del tempo”
Università Degli Studi di Padova, 14/02/2017
Il Prof. Paolo Taroni, storico della filosofia, illustra quali concezioni ha assunto nei secoli il concetto di Tempo, percorrendo la storia del pensiero filosofico occidentale dalle sue origini fino ai giorni nostri.