INTRODUZIONE: IL PROBLEMA DELLA SOCIOLOGIA NELLA CONOSCENZA
La realtà viene costruita socialmente, il compito della sociologia della conoscenza è appunto quello di analizzare i processi attraverso cui questo avviene. La realtà viene definita come una caratteristica propria di quei fenomeni che noi riconosciamo come indipendenti dalla nostra volontà. Definiamo conoscenza come la certezza che i fenomeni sono reali e possiedono caratteristiche precise.
Gli uomini della strada danno per scontate “realtà” diverse a seconda della società a cui appartengono. Il sociologo si pone un interrogativo: la differenza tra le diverse realtà può essere spiegata in relazione alle differenze tra le varie società?
Particolari raggruppamenti di realtà e di conoscenza appartengono a particolare contesti sociali, e queste relazioni devono essere incluse in un’analisi adeguata di questi contesti. La sociologia della conoscenza dovrà occuparsi dei modi generali in cui le “realtà” vengono date per “conosciute” nelle società umane, dovrà occuparsi non solo dell’empirica varietà di “conoscenze” nelle società umane, ma anche dei processi per cui qualsiasi complesso di conoscenze viene a essere socialmente stabilito come realtà. Si occupa dunque dell’analisi della costruzione sociale della realtà. Si interessa della relazione tra il pensiero umano e il contesto sociale da cui scaturisce. Mette a fuoco il problema della determinazione esistenziale del pensiero in quanto tale.
Diverse teorie nella sociologia della conoscenza:
- Marx: differenza tra “sottostruttura” e “sovrastruttura”: rispettivamente l’una come l’attività umana, l’altra come il mondo prodotto da questa attività. Esiste una qualche sorta di rapporto tra il pensiero e un’altra realtà sottostante diversa dal pensiero.
- Scheler: metodo negativo, relazione tra “fattori ideali” e “fattori reali” che rimandano ai termini di Marx. I fattori reali regolano le condizioni in cui certi fattori ideali possono apparire nella storia, ma non possono influire sul loro contenuto. La sociologia della conoscenza è quindi un procedimento con cui si deve studiare la selezione socio-storica dei contenuti ideazionali, fermo restando il principio che i contenuti stessi sono indipendenti dalla causalità socio-storica e perciò inaccessibili all’analisi sociologica. La conoscenza umana è data nella società come un “a priori” rispetto all’esperienza individuale fornendo a quest’ultima un ordine di significato. Quest’ordine sembra all’individuo il modo naturale di vedere il mondo. Scheler chiamò questo il modo di vedere il mondo relativo naturale.
- Mannheim: la società era vista come determinante non solo l’aspetto, ma anche il contenuto dell’ideazione umana. Egli distingueva tra i concetti particolari, totali e generali dell’ideologia: tra ideologia che costituisce solo un segmento del pensiero di un avversario, l’ideologia che costituisce la totalità del pensiero di un avversario, l’ideologia che caratterizza non solo il pensiero dell’avversario, ma anche il proprio. In generale il concetto di ideologia afferma che nessun pensiero umano è immune dalle influenza ideologizzanti del proprio contesto sociale. Coniò il termine “relazionismo” per denotare la prospettiva epistemologica della sua sociologia della conoscenza: la conoscenza deve essere sempre una conoscenza da una certa posizione. Il compito della sociologia della conoscenza è di studiare sistematicamente le condizioni sociali della conoscenza in quanto tale. È la sociologia della verità. Il centro empirico dell’attenzione è stato posto quasi esclusivamente nella sfera delle idee. L’interesse della sociologia della conoscenza è stato per le questioni epistemologiche un piano teoretico; per le questioni di storia culturale su un piano empirico. La conseguenza è che il piano del significato teoretico della sociologia della conoscenza è rimasto incerto.
Il problema delle idee è soltanto una parte del più ampio problema della sociologia della conoscenza che si dovrebbe occupare di tutto ciò che passa per “conoscenza” nella realtà. La gente conosce come realtà nella vita quotidiana a livello pre-teoretico o non-teoretico; l’interesse della sociologia della conoscenza deve essere dunque la conoscenza del senso comune che costituisce il tessuto di significati senza il quale nessuna società potrebbe esistere.
Durkheim pone la regola fondamentale del metodo sociologico: guardate i fatti sociali come cose.
Weber: l’oggetto di cognizione è l’insieme di significati soggettivi dell’azione. Queste due affermazioni non si contraddicono: la società possiede effettivamente una oggettiva fattualità e la società è davvero costruita da un’attività che esprime significati soggettivi. Come è possibile che i significati soggettivi diventino fattualità oggettive? Oppure, come è possibile che l’attività umana produca un mondo di cose?
CAPITOLO 1: I FONDAMENTI DELLA CONOSCENZA NELLA VITA QUOTIDIANA
La realtà della vita quotidiana
Chiarificazione di quella realtà che è accessibile al senso comune dei membri ordinari della società. Il mondo cioè della vita quotidiana. La vita quotidiana si presenta come una realtà interpretata dagli uomini e soggettivamente significativa per loro come un mondo coerente. È un mondo che si origina dal’uomo nel suo pensiero e nella sua azione, e che grazie a questi mantiene la sua realtà. Si chiarisce che con il termine “fondamenti della conoscenza della vita quotidiana”, si intendono oggettivazioni dei processi (e significati) soggettivi per mezzo dei quali il mondo intersoggettivo del senso comune viene costruito. Il metodo più idoneo a chiarire i fondamenti della conoscenza nella vita quotidiana è quello dell’analisi fenomenologica, è un metodo puramente descrittivo, e in quanto tale empirico, ma non scientifico. L’analisi si astiene da ogni ipotesi causale o genetica, come anche da ogni asserzione sullo stato ontologico dei fenomeni analizzati, il senso comune comprende innumerevoli interpretazioni pre- e semi-scientifiche della realtà quotidiana che accetta come ovvie. La coscienza è sempre intenzionale, essa tende sempre o è diretta verso gli oggetti. Oggetti differenti si presentano alla coscienza come costitutivi di differenti sfere di realtà. La mia coscienza quindi è in grado di muoversi attraverso sfere differenti di realtà; io ho coscienza del mondo come costituito di realtà molteplici. Quando mi muovo da una realtà ad un’altra io sento il passaggio come una specie di choc causato dal trasferimento dell’attenzione che il passaggio comporta. La realtà della vita quotidiana ha una posizione privilegiata e viene designata come realtà dominante. Io percepisco la realtà della vita quotidiana come realtà ordinata. I suoi fenomeni sono predisposti in modelli che sembrano indipendenti dalla mia percezione di essi e che si impongono su quest’ultima. Questa realtà appare già oggettivata, cioè costituita da un ordine di oggetti che sono stati designati come oggetti prima della mia comparsa sulla scena.
Il linguaggio segna le coordinate della mia vita nella società. E riempie quella vita di oggetti significativi. La realtà della vita quotidiana non è tuttavia esaurita da queste presenze mediate, ma abbraccia fenomeni che non sono presenti nell’hic et nunc; si presenta inoltre come un mondo intersoggettivo, un mondo che io condivido con altri. Gli altri hanno nei confronti di questo mondo una prospettiva che non è identica alla mia. La realtà della vita quotidiana viene data per scontata come realtà. Essa non richiede una verifica ulteriore oltre alla sua semplice presenza; essa c’è semplicemente come fattualità auto evidente e indiscutibile. Io so che è reale. È divisa in settori che vengono percepiti in forma di routine, ed altri che mi mettono di fronte a problemi di un genere o di un altro. Finché continuano senza interruzione, le routines della vita quotidiana sono percepite come non problematiche. Quando la continuità è interrotta c’è la comparsa di un problema.
Paragonate alla realtà della vita quotidiana, altre realtà appaiono come sfere di significato circoscritte, situate inevitabilmente all’interno della realtà dominante, contrassegnate da significati e modi di esperienza limitati. Queste sfere di significato sono caratterizzate dalla loro capacità di distogliere l’attenzione dalla realtà della vita quotidiana. Mentre vi sono certamente scarti nell’attenzione all’interno della vita quotidiana, lo scarto verso una sfera circoscritta di significato, è di una specie molto più radicale.
Il linguaggio comune di cui dispongo per oggettivare le mie esperienze è fondato sulla vita quotidiana e continua a rinviare ad essa, anche quando lo impiego per interpretare esperienze in sfere circoscritte di significato. È inevitabile perciò che io distorca la realtà di queste esperienze non appena comincio ad usare il linguaggio comune per interpretarle, e cioè che io ritraduca le esperienze non quotidiane nella realtà dominante della vita quotidiana. Il mondo della vita quotidiana è strutturato sia spazialmente che temporalmente.
L’interazione sociale nella vita quotidiana
La situazione in cui ci si trova faccia a faccia è il prototipo dell’interazione sociale. Quando ci si trova uno di fronte all’altro, la soggettività dell’altro mi è accessibile in modo diretto, anche se io posso fraintendere alcuni dei suoi atti. Le relazioni con altri, nell’incontro diretto sono ampiamente flessibili. La realtà della vita comune contiene schemi di tipizzazione nei cui termini gli altri vengono percepiti e trattati negli incontri diretti. Finché non sono messe in dubbio le tipizzazioni guideranno e determineranno fino a nuovo avviso le mie azioni nella situazione. Le tipizzazioni dell’altro sono suscettibili alla mia interferenza, come le mie alla sua. In altre parole, i due schemi di tipizzazione entrano in un continuo “negoziato” nell’incontro diretto. Nella vita quotidiana è probabile che tale negoziato sia esso stesso predisposto in un modo tipico, come nei tipici procedimenti di contrattazione tra acquirenti e venditori. Le tipizzazioni dell’interazione sociale, diventano progressivamente anonime via via che si allontano dalla situazione dell’incontro diretto. È importante distinguere tra carattere diretto o indiretto dell’esperienza. In ogni momento dato è possibile distinguere tra consoci con cui interagisco in incontri diretti ed altri che mi sono puramente contemporanei, di cui ho solo ricordi più o meno dettagliati, o che conosce per sentito dire. L’anonimia aumenta via via che si passa dal più vicino al più lontano, perché l’anonimia delle tipizzazioni per mezzo delle quali percepisco le persone che mi sono di fronte è costantemente “riempita” dalla molteplicità dei sintomi vivi che si riferiscono ad un concreto essere umano. Il grado di anonimia che caratterizza l’esperienza degli altri nelle vita quotidiana dipende tuttavia da una altro fattore, il grado di interesse e di intimità influenzano l’interazione.
La struttura sociale è la somma totale delle tipizzazioni e dei modelli ricorrenti di interazione stabiliti per il loro tramite. Io sono in relazione anche coi predecessori e coi successori, eccetto coloro con i quali ho interagito in passato, io sono legato ai miei predecessori per mezzo di tipizzazioni fortemente anonime. L’anonimia di queste tipizzazione non impedisce loro però di entrare nella realtà della vita quotidiana, talvolta in modo rilevante.
Il linguaggio e la conoscenza nella vita quotidiana
L’espressività umana è in grado di oggettivarsi; essa si manifesta cioè in attività che sono accessibili sia ai loro produttori che agli altri in quanto elementi di un mondo comune. Queste oggettivazioni servono come indici più o meno durevoli dei processi soggettivi dei loro produttori, permettendo alla loro utilizzabilità di estendersi aldilà dell’incontro diretto, in cui possono essere percepiti direttamente.
La realtà della vita quotidiana non è soltanto piena di oggettivazioni, è possibile esclusivamente grazie a loro, io sono costantemente attorniato da oggetti che “proclamano” le intenzioni soggettive dei miei consimili.
La significazione è la produzione umana di segni. Un segno può essere distinto da altre oggettivazioni per la sua esplicita intenzione di servire come indice di significati soggettivi. Un segno non ha che lo scopo di indicare l’intenzione soggettiva di colui che l’ha tracciato, è anche oggettivamente accessibile nella realtà comune che io e lui condividiamo con altri uomini. Il segno vale per il suo produttore come un oggettivo richiamo alla memoria della intenzione originaria con cui l’ha fatto. I segni sono riuniti in una quantità di sistemi. I segni e i sistemi di segni sono oggettivazioni nel senso che sono oggettivamente accessibili aldilà dell’espressione di intenzioni soggettive nell’hic et nunc. Segni e sistemi sono caratterizzati dalla capacità di distacco. Il linguaggio che possiamo qui definire un sistema di segni vocali, è il più importante sistema di segni della società umana. L’espressione vocale è divenuta capace di distacco dall’immediato hic et nunc degli stati soggettivi. Le oggettivazioni comuni della vita quotidiana si mantengono prima di tutto grazie alle significazioni linguistiche. Il linguaggio ha origine nella situazione dell’incontro diretto, ma può essere agevolmente separato da essa.
Il distacco del linguaggio si fonda in modo ben più decisivo sulla sua capacità di comunicare significati che non sono espressioni dirette della soggettività nell’hic et nunc. Nella situazione dell’incontro diretto il linguaggio possiede un intrinseco carattere di reciprocità che lo distingue da ogni altro sistema di segni. Un altro modo di esprimere lo stesso concetto è il fatto che io “conosco meglio” l’altro che me stesso nell’incontro diretto. Questo fatto apparentemente paradossale è stato spiegato con l’accessibilità massiccia continua e preriflessiva del modo di essere dell’altro, rispetto alla riflessione che mi è richiesta per l’accesso al mio modo di essere. Quando io oggettivo il mio modo di essere per mezzo del linguaggio, esso diviene massicciamente e continuamente accessibile a me stesso, nel momento in cui è accessibile a lui e io possono spontaneamente reagire ad essa senza l’interruzione della riflessione deliberata.
Il linguaggio ha origine nella vita quotidiana, e a questa prima di tutto fa riferimento. Esso si riferisce soprattutto alla realtà di cui faccio esperienza in stato di veglia cosciente e che è dominata dal movente pragmatico, cioè dall’insieme di significati che riguardano direttamente le azioni presenti o future, e che io condivido con altri in un modo che do per scontato.
In quanto sistema di segni, il linguaggio ha la qualità dell’oggettività, io incontro il linguaggio come una fattualità esterna a me stesso, e coercitiva nei suoi effetti su di me. Il linguaggio mi costringe nei suoi modelli, mi fornisce di una possibilità “prefabbricata” per la continua soggettivazione dello svolgimento della mia esperienza. Ha un’ampiezza e un’elasticità tali da permettermi di oggettivare una grande varietà di esperienze, classifica inoltre le esperienze permettendomi di incasellarle in categorie generali nei cui termini esse hanno significato non solo per me stesso, ma anche per i miei simili. A causa della sua capacità di trascendere l’hic et nunc, il linguaggio collega differenti zone all’interno della realtà della vita quotidiana e le integra in un tutto significativo. Come risultato di queste trascendenze, il linguaggio è capace di rendere rpesente una varietà di oggetti che sono spazialmente, temporalmente e socialmente assenti nell’hic et nunc. Il linguaggio è capace di trascendere del tutto la realtà della vita quotidiana in quanto può riferirsi ad esperienze che appartengono a sfere circoscritte di significato, e può abbracciare sfere separate di realtà. Ogni tema significativo che getta così un ponte tra diverse sfere di realtà può essere definito un simbolo, e il modo linguistico in cui tale trascendimento viene compiuto può essere chiamato “linguaggio simbolico”. Il linguaggio costruisce ora immensi edifici di rappresentazioni simboliche che sembrano torreggiare sulla realtà della vita quotidiana come presenze gigantesche appartenenti ad un altro mondo.
Il linguaggio è capace di riportare indietro questi simboli e presentarli come elementi oggettivamente reali. Il linguaggio costruisce campi semantici, o zone di significato che sono linguisticamente circoscritte. La conoscenza comune include la consapevolezza della mia situazione e dei suoi limiti. Poiché la vita quotidiana è dominata dal movente pragmatico, la conoscenza normativa, cioè quella limitata alla competenza pragmatica nelle operazioni abituali occupa un posto preminente nella cultura comune. Una buona parte del bagaglio sociale di conoscenze inoltre mette a disposizione gli schemi di tipizzazione richiesti per le principali routines della vita quotidiana. La validità della mia conoscenza della vita quotidiana è data per scontata da me stesso e da altri fino a nuovo avviso, cioè fino a che non sorge un problema che non può essere risolto nei suoi termini. La realtà della vita quotidiana appare sempre come una zona chiara dietro la quale c’è uno sfondo di oscurità. La mia conoscenza della vita quotidiana si limita a ciò a cui io do importanza. Un elemento importante della mia conoscenza della vita quotidiana la conoscenza dei campi di interesse degli altri. le strutture di pertinenza fondamentali che si riferiscono alla vita quotidiana si presentano a me prefabbricate dal bagaglio sociale di conoscenze.
Si ha una distribuzione sociale della conoscenza, cioè è posseduta in modo diverso da diversi individui e tipi di individui. La distribuzione sociale della conoscenza comincia così col semplice fatto che io non conosco tutto ciò che conoscono i miei simili, e viceversa culmina in sistemi di competenza straordinariamente complessi ed esoterici.
CAPITOLO 2: LA SOCIETÀ COME REALTÀ OGGETTIVA
La relazione dell’uomo col suo ambiente è caratterizzata dall’apertura di fronte al mondo. Il processo attraverso cui l’uomo si forma si realizza in una interrelazione con un ambiente. Questo ambiente è insieme naturale e umano, cioè costituito da un ordine culturale e sociale. La natura umana esiste nel senso di costanti antropologiche che delimita e permette le formazioni socio-culturali dell’uomo. Ma la forma specifica entro cui questo “essere uomo” si modella è determinata da quelle formazioni socio-culturali ed è relativa alle loro numerose variazioni. L’uomo produce se stesso.
Il periodo durante il quale l’organismo umano si sviluppa fino a completezza in relazione con l’ambiente è anche il periodo durante il quale si forma l’identità umana. La formazione dell’io, dunque, deve essere anche compresa in rapporto al crescente sviluppo dell’organismo e al processo sociale in cui l’ambiente naturale e quello umano sono mediati dall’influenza degli altri. Il carattere dell’io come prodotto sociale non si limita alla particolare configurazione che l’individuo identifica come se stesso, ma comprende anche tutto il bagaglio psicologico legato alla sua particolare configurazione. L’autoproduzione dell’uomo è sempre un’impresa sociale. Gli uomini insieme producono un ambiente umano, con la totalità delle sue formazioni socio-culturali e psicologiche.
Un dato ordine sociale precede ogni sviluppo dell’organismo individuale, l’apertura di fronte al mondo cioè, sebbene intrinseca alla configurazione biologica dell’uomo, è sempre occupata in precedenza da un ordine sociale à teoria dell’istituzionalizzazione.
Ogni azione che venga ripetuta frequentemente viene cristallizzata secondo uno schema fisso. Le azioni abitualizzate conservano il loro carattere significativo per l’individuo anche se i significati in esse implicati vengono immagazzinati come routines nel bagaglio generali di conoscenze. Questi processi di consuetudinari età precedono ogni istituzionalizzazione.
L’istituzionalizzazione ha luogo dovunque vi sia una tipizzazione reciproca e condivisa di azioni consuetudinarie da parte di gruppi di esecutori, anch’essi tipizzati nel loro ruolo.
Le istituzioni devono sottostare a due condizioni: avere uno sviluppo storico e fornire uno schema di condotta a coloro che ne fanno parte, fissando dei modelli prestabiliti (è presente un controllo sociale). Le istituzioni si manifestano all’esperienza come dotate di una realtà loro propria, una realtà che si trova di fronte all’individuo come un fatto esterno e coercitivo.
L’oggettività del mondo istituzionale è umanamente prodotta e costruita. Il processo mediante il quale i prodotti esteriorizzati dell’attività umana attingono il carattere dell’oggettività è l’oggettivazione.
Esteriorizzazione e oggettivazione sono momenti di un continuo processo dialettico. Il terzo momento di questo processo, è l’interiorizzazione (in virtù del quale il mondo oggettivato è reintrodotto nella coscienza nel corso della socializzazione).
La società è un prodotto umano. La società è una realtà oggettiva. L’uomo è un prodotto sociale.
Il mondo istituzionale richiede una legittimazione, cioè degli strumenti attraverso cui possa essere spiegato e giustificato.
Lo sviluppo di specifici meccanismi di controllo sociale diventa necessario con la storicizzazione e l’oggettivazione delle istituzioni.
La logica non risiede nelle istituzioni e nelle loro funzionalità esterne, ma nel modo in cui queste sono trattate quando si riflette su di esse. La riflessione sovrappone la qualità della logica all’ordine istituzionale.
Il linguaggio provvede alla fondamentale sovrapposizione di logica sul mondo sociale oggettivato. Dal momento in cui l’individuo adeguatamente socializzato sa che il suo mondo sociale è un insieme coerente, egli sarà costretto a spiegare sia il suo funzionamento che le sue disfunzioni nei termini di questa conoscenza.
La conoscenza primaria riguardo all’ordine istituzionale è conoscenza al livello pre-teorico. È la somma totale di ciò che tutti sanno su un mondo sociale, un insieme di massime morali, di valori e credenze, miti e così via, la cui integrazione richiede una notevole forza intellettuale.
Ciò che nella società si dà per scontato come conoscenza viene a coincidere col conoscibile, o comunque fornisce l’intelaiatura entro cui qualunque cosa non ancora conosciuta sarà nota in futuro. Questa è la conoscenza che viene appresa nel corso della socializzazione e che media l’interiorizzazione nella coscienza individuale delle strutture oggettivate del mondo sociale.
La conoscenza della società è così una realizzazione nel doppio senso della parola: nel senso della percezione della realtà sociale oggettivata, e nel senso dell’ininterrotta produzione di questa realtà.
La sedimentazione (coagulazione delle esperienze nella memoria) intersoggettiva avviene quando è stata oggettivata in un sistema di simboli di qualche genere, cioè esiste la possibilità di una oggettivazione reiterata delle esperienze comuni.
Un sistema di simboli fruibile dalla società attribuisce uno stato di incipiente anonimità alle esperienze sedimentate distaccandole dal loro contesto originario di concrete biografie individuali e rendendole generalmente accessibili a tutti coloro che le condividono nel sistema di simboli in questione.
Normalmente il sistema di simboli è quello linguistico. Il linguaggio rende oggettive e accessibili a tutti le esperienze comuni all’interno della comunità linguistica, divenendo così la base e al tempo stesso lo strumento della cultura collettiva.
Con la tipizzazione dell’azione segue la tipizzazione dell’attore in un ruolo, definito dall’identificazione di un segmento dell’io con il senso oggettivo dell’azione. Questo segmento dell’io è l’autentico “io sociale”, che si presenta all’esperienza soggettiva come distinto e separato dall’intera personalità.
La costruzione di tipologie del ruolo è un necessario termine di correlazione dell’istituzionalizzazione della condotta. Le istituzioni sono incorporate nell’esperienza individuale per mezzo di ruoli, che linguisticamente oggettivati, costituiscono un ingrediente essenziale del mondo accessibile in ogni società.
I ruoli rappresentano l’ordine istituzionale a due livelli: l’atto di ricoprire il ruolo rappresenta se stesso; il ruolo rappresenta un intero nesso istituzionale di condotta che lo mette in relazione con gli altri ruoli.
In virtù dei ruoli che ricopre, un individuo viene introdotto in aree specifiche di conoscenza socialmente oggettivata, di norme, valori ed anche emozioni.
La reificazione è la percezione di fenomeni umani come se fossero cose. La reificazione può definirsi il grado estremo nel processo di oggettivazione, per cui il mondo oggettivato perde la sua capacità di essere visto come creazione umana e si fissa come fattualità non umana. L’uomo, produttore del mondo, è visto come suo prodotto, e l’attività umana come epifenomeno di processi non umani.
La legittimazione in quanto processo può essere definita una oggettivazione di secondo grado del significato. La legittimazione produce nuovi significati che servono a integrare i significati già attribuiti ai diversi processi istituzionali. La funzione della legittimazione è di rendere oggettivamente accessibili e soggettivamente plausibili le oggettivazioni di primo grado che sono state istituzionalizzate.
La legittimazione spiega l’ordine istituzionale attribuendo validità conoscitiva ai suoi significati oggettivati, e lo giustifica conferendo dignità di norma ai suoi imperativi pratici.
Il livello più complesso di legittimazione comprende gli universi simbolici, cioè la matrice di tutti i significati socialmente oggettivati e soggettivamente reali. La cristallizzazione degli universi simbolici segue i processi di oggettivazione, sedimentazione e accumulazione.
La stessa funzione legittimante appartiene alla correttezza dell’identità soggettiva dell’individuo. Essa dipende dalle relazioni dell’individuo con le persone per lui importanti, che possono cambiare o sparire. L’identità riceve la legittimazione definitiva quando viene posta nel contesto di un universo simbolico.
I meccanismi concettuali che difendono gli universi simbolici comportano sempre la sistematizzazione delle legittimazioni cognitive e normative che erano già presenti nella società in una forma più ingenua, e che si erano cristallizzate nell’universo simbolico in questione.
La terapia comporta l’applicazione del meccanismo concettuale allo scopo di assicurare chi i devianti rimangano entro le definizioni istituzionalizzate della realtà. La terapia si serve di un meccanismo concettuale per tenere tutti all’interno dell’universo in questione. Dall’altra parte, l’annichilazione si serve di un meccanismo analogo per liquidare concettualmente tutto ciò che si trova al di fuori di quell’universo (legittimazione negativa, perché nega la diversità).
Tutti gli universi socialmente costruiti subiscono dei cambiamenti. La maggior parte delle società moderne sono pluralistiche, hanno cioè un universo-nucleo comune a tutti e dato per scontato, e diversi universi parziali che coesistono in uno stato di reciproco accomodamento.
CAPITOLO 3: LA SOCIETÀ COME REALTÀ SOGGETTIVA
Nella vita di ogni individuo c’è una successione temporale nel corso della quale egli viene introdotto alla partecipazione della dialettica societaria. Il punto di partenza di questo processo è l’interiorizzazione: la percezione o l’interpretazione immediata di un evento oggettivo come esprimente un significato, cioè come una manifestazione di processi soggettivi di un altro che così diventa soggettivamente significativo per me stesso. L’interiorizzazione è la base di una comprensione dei propri simili, e della percezione del mondo come una realtà significativa e sociale.
L’individuo è un membro della società solo quando ha completato questo grado di interiorizzazione, che avviene attraverso la socializzazione. La socializzazione primaria è la prima socializzazione che un individuo intraprende nell’infanzia, attraverso la quale diventa un membro della società. Socializzazione secondaria è ogni processo successivo che introduce un individuo già socializzato in nuovi settori del mondo oggettivo della sua società.
Ogni individuo nasce in una struttura sociale oggettiva entro cui incontra le persone che hanno cura della sua socializzazione. Il bambino si identifica con le persone che influiscono su di lui in una varietà di modi emotivi. L’interiorizzazione avviene solo quando avviene l’identificazione. L’io è un’entità riflessa, che riflette gli atteggiamenti degli altri nei suoi confronti; l’individuo diventà cioò che lo chiamano le persone per lui importanti.
L’appropriazione soggettiva dell’identità e del mondo sociale sono due diversi aspetti dello stesso processo di interiorizzazione. La socializzazione primaria crea nella coscienza del bambino una progressiva astrazione dai ruoli e dagli atteggiamenti degli altri in particolare ai ruoli e agli atteggiamenti in generale (si forma l’altro generalizzato).
In questo modo avviene l’interiorizzazione della società in quanto tale e della realtà oggettiva ivi istituita e, allo stesso tempo, l’affermazione soggettiva di un’identità coerente e continua. La società, l’identità e la realtà vengono soggettivamente cristallizzati nello stesso processo di interiorizzazione.
È il linguaggio che più di ogni altra cosa è necessario interiorizzare. Con il linguaggio vari schemi motivazionali e interpretativi vengono interiorizzati come istituzionalmente definiti. Infine, c’è l’interiorizzazione di almeno i rudimenti dell’apparato legittimante: il bambino impara perche i programmi sono così.
La socializzazione primaria termina quando il concetto dell’altro generalizzato è ormai instaurato nella coscienza dell’individuo, che a questo punto è un membro effettivo della società e ha il possesso soggettivo di un’identità e di un mondo.
La socializzazione secondaria è l’interiorizzazione di “sottomondi” istituzionali o fondati su istituzioni; si tratta dell’acquisizione della conoscenza legata a un ruolo, deriva dall’interiorizzazione di campi semantici che strutturano le interpretazioni e la condotta di ruotine all’interno di un’area istituzionale.
Essa presuppone sempre un processo di socializzazione primaria, deve trattare con un io già formato e un mondo già interiorizzato, e ogni contenuto da interiorizzare deve in qualche modo essere integrato a questa realtà già presente.
Il carattere di realtà e la valenza emotiva nella socializzazione secondaria sono più elastici rispetto alla socializzazione primaria, questo fa sì che sia possibile staccare una parte dell’io e la sua realtà concomitante e considerarla pertinente solo alla situazione legata a un ruolo. L’individuo crea così una distanza tra il suo io totale e la sua realtà da una parte, e l’io parziale legato a un ruolo e la sua realtà dall’altra.
Esistono dei meccanismi destinati a preservare la realtà soggettiva, cioè la realtà com’è percepita dalla coscienza individuale. La realtà di tutti i giorni si salvaguarda da sola incarnandosi in routines, viene incessantemente riaffermata dall’interazione dell’individuo con gli altri. nel processo sociale di conservazione della realtà è possibile distinguere tra persone importanti per un individuo e persone meno importanti. Le prime sono i principali agenti per la preservazione della sua realtà soggettiva. Le persone meno significative funzionano come una specie di coro.
Il veicolo più importante della preservazione della realtà è la conversazione. La maggior parte della preservazione che avviene durante la conversazione è implicita. Per poter preservare efficacemente la realtà soggettiva, l’apparato della conversazione deve essere continuo e coerente. Le fratture nella continuità o nella coerenza costituiscono una minaccia alla realtà soggettiva in questione.
La realtà soggettiva dipende dunque da precise strutture di plausibilità, cioè dalla particolare base sociale e dai processi sociali richiesti per la sua preservazione. La struttura di plausibilità è anche la base sociale per quella particolare sospensione del dubbio senza la quale la definizione della realtà in questione non può essere mantenuta in coscienza. Qui specifiche sanzioni sociali contro simili dubbi disintegratori della realtà sono state interiorizzate e vengono continuamente riaffermate. Il ridicolo è una di queste sanzioni.
L’identità è formata da processi sociali; una volta cristallizzata, viene mantenuta, modificata o anche rimodellata dalle relazioni sociali. I processi sociali implicati sia nella formazione che nella preservazione dell’identità sono determinati dalla struttura sociale. D’altra parte le identità prodotte dall’azione reciproca di organismo, coscienza individuale e struttura sociale a loro volta si ripercuotono sulla struttura sociale, conservandola, modificandola o anche rimodellandola completamente.
Poiché le teorie psicologiche sono elementi della definizione sociale della realtà, la loro capacità di generare realtà è una caratteristica che hanno in comune con altre teorie legittimanti; comunque, la loro capacità di realizzazione è particolarmente grande perché è attuata da processi di formazione di identità fortemente cariche di emotività.
L’uomo è biologicamente predestinato a costruire e ad abitarvi in comune con gli altri. Questo mondo diventa per lui realtà dominante e definitiva. I suoi limiti sono posti dalla natura, ma, una volta costruito, esso influisce a sua volta sulla natura. Nella dialettica tra la natura e il mondo socialmente costruito lo stesso organismo umano viene trasformato e in questo modo l’uomo produce la realtà e se stesso.
Berger e Luckmann – La realtà come costruzione sociale