Chi troppo pensa nulla stringe

L’essere umano è l’unico animale esistente capace di sentirsi inadeguato, colpevole o tradito. E’ anche l’unico a disporre di complessi ragionamenti concreti e astratti, grazie al sorprendente sviluppo che ha avuto nel corso dell’evoluzione una parte del nostro cervello chiamata corteccia prefrontale. Questa permette di formulare il cosiddetto “pensiero” che è alla base della nostra vita quotidiana. Possiamo senz’altro affermare che il pensiero ci accompagni costantemente, consentendoci di analizzare le situazioni, scoprire nuovi fenomeni, proteggerci dal pericolo e tantissime altre attività che compiamo senza troppa consapevolezza del pensiero sottostante. Le nostre menti sono sempre accese e per loro natura vagano tra pensieri, ricordi, credenze e discussioni con noi stessi. Una recente ricerca ha calcolato che si compiano circa 60000 pensieri al giorno.

Questo dato non stupisce se riflettiamo sul fatto che tutto quello che ci capita viene valutato in qualche modo. Un evento può essere considerato infatti come qualcosa di piacevole, spiacevole, importante, poco rilevante, da ricordare, rimandare o condividere. Proprio questa valutazione, o pensiero, che effettuiamo determinerà la nostra emozione e quindi la nostra azione conseguente. Ad esempio se aspettiamo la telefonata di un amico e questa non arriva, potremmo valutare questo evento come qualcosa di spiacevole e decidere di telefonargli e arrabbiarci, o ancora potremmo valutarla come una liberazione se non avevamo voglia di sentire quell’amico.

Il pensare rappresenta la nostra più grande risorsa, eppure spesso ne rimaniamo intrappolati. In particolare quando emozioni come paura o tristezza incidono sulle nostre valutazioni, influenzandole tutte in senso negativo.  Ad esempio se penso che il mondo è un posto pieno di gente cattiva e spaventosa, potrei vivere una forte ansia alla sola idea di mettere il naso fuori di casa. Ma smettendo di uscire non potrò mai disconfermare il pensiero che il mondo sia un posto pieno di gente cattiva. Questo esempio ci fa notare come il nostro alleato pensiero finisca spesso per renderci la vita più complicata di quello che realmente sia.

Molto spesso il troppo pensare può essere la conseguenza di ritmi di vita particolarmente intensi e frenetici. Se per svolgere svariate attività, anche contemporaneamente, il nostro cervello si è iper sviluppato fino a creare molteplici connessioni e renderci molto produttivi, può invece essere particolarmente difficile a fine giornata spegnerlo. L’abilità di interrompere il continuo lavorio della nostra mente o dirigerlo verso qualcosa di più distensivo e connesso con il presente, dedicandosi a godere appieno di ogni piccolo gesto di vita è qualcosa che spesso non ci è stata insegnata e di cui sottovalutiamo l’importanza.

Un tipo particolare di eccesso di pensiero, oggetto di molti studi in ambito clinico è il rimuginio. Definito in psicologia cognitiva come una forma di pensiero ciclico, ricorrente e negativo. Capita di rimuginare specialmente quando qualcosa ci preoccupa e cerchiamo coi pensieri di prevedere ed evitare conseguenze spiacevoli. Questo attiva in modo molto impegnativo la nostra mente. Tuttavia spesso gli eventi non sono prevedibili e i nostri sforzi mentali finiscono per stancarci e chiuderci in una spirale di pensieri negativi.  Il rimuginio sembrerebbe molto presente nei disturbi d’ansia, nella depressione e nei disturbi alimentari e può arrivare ad occupare la maggior parte del nostro tempo. Nonostante la sensazione sia quella di fare qualcosa, di aumentare la nostra capacità di prevedere il futuro, in realtà siamo fermi nel nostro pensare.

In questi casi è necessario rompere la spirale e provare ad agire, anche in modo un po’ impulsivo, accettando il rischio di poter sbagliare. Potrebbe essere utile anche fare un elenco delle azioni possibili e valutarle in base ai nostri scopi e bisogni a breve e lungo termine. Certo potrebbero sempre esserci conseguenze negative, ma immaginarle non ci aiuta a gestirle se non le accompagniamo da azioni concrete.

Un ulteriore suggerimento può essere quello di dedicare al rimuginio un tempo determinato, e quindi rimandare questa modalità di pensare a solo quel momento della giornata, fermandolo negli altri momenti.

Se invece non c’è nulla che si possa fare di concreto, forse conviene smettere di pensarci e sforzarsi di riportare l’attenzione sul presente e su quello che si sta facendo. In questi casi risultano di aiuto le tecniche di meditazione e di mindfulness che allenano a fermarsi nel presente, stare nelle emozioni e nelle sensazioni, affondare nel piacere che può dare la consapevole esperienza di quello che c’è qui ed ora, momento per momento.

Qualora il troppo pensare o il rimuginio diventino una eccessiva fonte di stress e non si riesca a interrompere il circolo vizioso potrebbe essere utile richiedere un aiuto professionale per valutare la soluzione più adeguata al problema.

 

Serena Bosco

Psicologa e Psicoterapeuta Cognitivo Comportamentale

serenabosco@gmail.com

 

 

Bibliografia

 

Lev Vygotskij, Pensiero e linguaggio. Ricerche psicologiche, a cura di L. Mecacci, 10ª ed. Roma-Bari, Laterza [1990], 2008 ISBN 88-420-39

 

Wells, A. (2005). Detached mindfulness in cognitive therapy: A metacognitive analysis and ten techniques. Journal of Rational-Emotive and Cognitive- Behavior Therapy, 23, 337-355.
Sassaroli, S., Lorenzini, R. & Ruggiero, G.M. (2006). Psicoterapia Cognitiva dei Disturbi d’Ansia. Raffaello Cortina Editore