La solitudine, può dipendere dal proprio DNA, ed essere trasmessa tra le generazioni. Sembra assurdo e inconcepibile pensare che la sensazione di solitudine sia una cosa anche ereditaria, come una malattia, quindi tramandabile da una generazione all’altra. Eppure gli esperti dell’Università della California di San Diego e dell’Università di Chicago, dichiarano che il rischio di sentirsi soli, è, in piccola parte, dovuto anche alla genetica. Gli studiosi hanno osservato che la solitudine, quindi la tendenza di un soggetto a sentirsi solo durante il corso della vita, e non solo in specifiche circostanze o momenti, agisce come un dolore fisico. Come una ferita o un dolore che ci avvisa della presenza di un pericolo che potrebbe arrecare danno all’organismo, e ci spinge a prenderci cura del corpo, allo stesso modo, la propensione alla solitudine e all’isolamento, fa parte di un sistema di allarme biologico evoluto, che ci avverte di essere difronte ad una minaccia, rappresentata dalla propria rete sociale.
Solitudine: il ruolo del DNA
Lo studio si è interrogato sulla valenza e su quanto il proprio DNA possa incidere nella tendenza a isolarsi e a sperimentare emozioni negative e dolorose. Le ricerche attestano e confermano come, la solitudine, non sia prettamente una risposta situazionale di tipo cognitivo-psicologico, bensì esista una parte definita dal proprio corredo cromosomico.
Solitudine quindi, come tratto moderatamente ereditario. L’influenza del DNA sembra sia piuttosto modesta, al punto che la genetica ha, sulla solitudine, una incidenza dal 14 al 27%; significativa ma non fondamentale per sentirsi tristi o soli, soprattutto dopo esperienze di familiari che ne soffrivano. Nell’ereditarietà della solitudine, in realtà, gioca un ruolo principale non tanto il patrimonio genetico, quanto l’ambiente. I ricercatori, inoltre, hanno attestato ed evidenziato come la solitudine tenda a essere ereditata insieme a stati di nevroticismo e di depressione.
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