Cristina Da Rold | IlSole24ore
In questi giorni sono usciti i risultati di un ampio sondaggio internazionale, che ha misurato per la prima volta due fenomeni che in tanti hanno intuito negli ultimi vent’anni, ma che finora non era stato possibile quantificare ad ampio spettro: primo, che stare troppo online “rovina” le interazioni sociali con le persone reali della propria cerchia; secondo, che la ricchezza non fa la felicità. In sintesi, la domanda che dovremmo iniziare a porci seriamente è se forse questa corsa alla connessione costante per la produttività 24/7 con premi in cambio del nostro tempo di vita, è la strada più sensata da percorrere.
“E grazie tante, che non lo sappiamo” viene da dire. In realtà, se da un lato fa parte della nostra quotidianità osservare che spesso sprechiamo troppo tempo online o ci lasciamo rovinare la giornata da interazioni nervose e aggressive con sconosciuti su temi neanche così rilevanti, oppure che di fronte all’ineluttabilità delle cose solo la verità delle relazioni umane ci può forse salvare; misurare l’impatto tutto questo è un altro paio di maniche.
Il progetto Mental Health Million presso Sapien Labs, un’organizzazione no profit fondata nel 2016 per studiare neurobiologicamente la mente umana, si pone questo altisonante obiettivo. Quello da poco pubblicato è il più ampio mai condotto al mondo, sul benessere mentale delle persone in relazione all’uso che fanno di internet nella loro giornata. Comprende 223.087 intervistati nel 2021 in 34 paesi del mondo, fra America Latina, del mondo arabo, ‘Europa continentale di lingua spagnola e francese e Africa. Il questionario è nato dalla frustrazione del gruppo per la mancanza di uno strumento di punteggio unico e completo che mirasse a catturare l’intera gamma di indicatori di benessere mentale in una popolazione. Dopo aver esaminato una serie di strumenti clinici e questionari esistenti, i ricercatori hanno estrapolato un elenco di 47 elementi da utilizzare come domande nella scala MHQ, che potevano essere compilati come questionario online dagli intervistati in circa 15 minuti. I partecipanti allo studio sono stati reclutati attivamente principalmente tramite Facebook e Google ads.
I risultati del sondaggio non sono rassicuranti, in particolare per i giovani. Il 44% dei giovani di età compresa tra 18 e 24 anni mostrava punteggi di benessere mentale all’interno dell’intervallo “angoscia, con limitazioni dell’attività quotidiana”, contro il 7% in media delle persone di età superiore ai 65 anni. L’aspetto più rilevante che non può essere ignorato è che questo è un fenomeno che si riscontra ovunque nel mondo, in paesi e contesti estremamente diversi.
Ciò rappresenta un divario crescente tra le generazioni che, sebbene presente prima della pandemia di Covid-19, da allora è stato esacerbato. È anche in netto contrasto con i modelli di felicità e benessere documentati prima del 2010 in diverse regioni del mondo, dove i giovani adulti di età compresa tra 18 e 24 anni avevano in genere il benessere più elevato.
I ricercatori hanno cercato un possibile comune denominatore fra le persone che lamentavano questo malessere – difficoltà dovute alla disparità di reddito, instabilità politica, disordini civili – ma nessuno di questi fattori è risultato essere idoneo. Il comune denominatore fra queste situazioni è l’uso crescente massivo degli smartphone e l’accesso a Internet. Nonostante le preoccupazioni “aneddotiche” sul fatto che gli smartphone e la sovraesposizione ai social media danneggino la salute mentale, specialmente per i giovani, gli studi scientifici esistenti hanno mostrato risultati contrastanti. Se seguite Infodata sapete bene che misurare il benessere mentale e soprattutto paragonare studi diversi è un’operazione molto molto delicata.
I ricercatori dietro il rapporto Mental Health Million ipotizzano che il fattore chiave potrebbe non essere Internet in sé, ma ciò che il tempo trascorso su Internet sostituisce. Recenti statistiche globali suggeriscono che le persone con accesso a Internet trascorrono in media da sette a dieci ore al giorno online, il che potrebbe spiazzare l’interazione di persona che è la chiave per costruire un forte sé sociale. Costruire abilità e relazioni sociali richiede tempo ed esperienza. Tara Thiagarajan, fondatrice del Sapien Labs, sintetizza i risultati dicendo che la generazione più giovane è arrivata all’età di 18-24 anni e all’università con un decimo delle competenze nella risoluzione di problemi sociali, nella convivenza, nella coesistenza in modo produttivo senza conflitti, rispetto ai giovani di qualche anno fa. “All’età di 18 anni, oggi hai grosso modo la stessa esperienza di interazione con le persone che aveva in passato un bambino di 7 o 8 anni”.
Il secondo aspetto interessante che emerge è che un PIL nazionale più elevato è correlato con un benessere autodichiarato peggiore. I punteggi medi peggiori arrivano dai paesi di lingua inglese: Stati Uniti, Regno Unito, Irlanda, Canada, Australia e Nuova Zelanda; ma in generale tutti i paesi sviluppati e ricchi hanno avuto i punteggi medi peggiori. Chiaramente è necessario differenziare per segmento sociale all’interno di un paese. Il rapporto ha anche esaminato i fattori culturali a livello nazionale, utilizzando gli indicatori compilati dal Globe Project e da Geert Hofstede dell’Università di Maastricht. Tra i fattori esaminati, spicca l’orientamento alla “performance”. Più i premi e i riconoscimenti si basano sulla performance lavorativa, sulla “produttività” del “capitale umano”, sulla superconnessione, sulla “flessibilità” (che si traduce infine in una schiavitù quotidiana al dio dell’email), peggiori risultavano essere i punteggi di benessere mentale. Anche se le società basate su queste dinamiche tendono a essere più economicamente “di successo”, con livelli più elevati di “sviluppo umano”.
“Nel complesso queste relazioni dipingono un quadro sorprendente ma coerente: una cultura in cui ognuno di noi è per se stesso e giudicato e ordinato in base alle prestazioni può essere positivo per la crescita economica ma dannoso per il nostro benessere mentale collettivo”.
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