IL CULTO DELLA VIRTUALITA’.
Con l’avvento della modernità, e soprattutto a seguito della nascita del Medium televisivo dapprima e poi di Internet, noi esseri umani ci siamo staccati sempre più dalle nostre radici esistenziali: dapprima abbiamo abbandonato la terra, quando durante le due grandi rivoluzioni industriali (fine del Settecento in Inghilterra, e seconda metà del XIX secolo in larga parte dell’Occidente) ci spostammo in massa dalle campagne alle città; poi, abbiamo reso sempre più eterei ed incorporei i prodotti e i servizi di cui usufruiamo. Quest’ultima tendenza ha portato alla terziarizzazione delle Economie, processo ancora in crescita, e dal punto di vista culturale ci ha resi dei consumisti virtuali oltre che sostanziali. Mi spiego: un tempo, fino alla fine del XX Secolo circa, gran parte della nostra attenzione come consumatori era catalizzata da beni materiali; oggi, siamo invece sempre più attratti dal virtuale: molto spesso non è un corpo fisico (automobile, cibo, vestito, eccetera) l’oggetto del nostro desiderio, bensì una realtà virtuale. Basta farsi un giro sui principali Social Network per rendersi conto che, soprattutto le nuove generazioni, hanno istituito un culto dell’immagine basato non più su una apparenza materiale ma su una identità virtuale.
Usando una terminologia che spesso sentiamo applicata all’Informatica, diremmo che l’Avatar è divenuto più importante del corpo biologico di cui Madre Natura ci ha forniti. Forse perché quell’irrisolto desiderio di immortalità che segretamente ossessiona la maggioranza del genere umano non trova appiglio nella caducità dei corpi organici, l’Avatar, immateriale e pertanto indistruttibile, è divenuto il nuovo feticcio delle masse. Il corpo fisico non è più abitato e vissuto, perché Internet offre la possibilità di crearsi un personaggio virtualmente immortale; così, il problema esistenziale di molti di noi non è più trovare un filo che ci conduca al “Deus Ex Macchina”, all’Intelligenza cosmica che si suppone abbia creato tutto inclusi i nostri corpi organici, bensì trovare un “Eidolon” (termine greco che sta per “simulacro”, e che indica una forma priva di sostanza) in cui investire il proprio desiderio. Ma il corpo disabitato perde smalto; come un’abitazione abbandonata, lentamente si riempie di polvere e ragnatele. Con il lento scorrere del tempo, le pareti si crepano e iniziano a disgregarsi mentre i pavimenti si fanno sempre più traballanti ed instabili. Insomma il nostro corpo, nel momento in cui lo si abbandona per assecondare la propria mente desiderante che è succube degli Eidolon, diviene sempre più triste e spento. Relegato al mero ruolo di contenitore della mente, diviene un guscio privo di vita: un involucro usato per connettersi attraverso lo sguardo alle immagini virtuali su cui si investe la propria Libido. Il corpo perde sostanza, mentre lo sguardo si proietta al di là di esso e penetra nello schermo del monitor o della televisione; il virtuale diviene l’unica realtà, e il reale diviene fantasmatico. Dunque il proprio corpo non è più oggetto del desiderio, e neanche soggetto, bensì veicolo per far accedere la mente agli Eidolon. In effetti, nella moderna società dell’immagine, il soggetto desiderante è la mente e l’oggetto desiderato è una reputazione “vincente”. In base ai canoni sociali dominanti, i beni più ambiti sono la visibilità (includente anche fascino e bellezza fisica, oltre che reputazione) e il successo professionale; quando il proprio Avatar è ammirato, o magari anche venerato da quante più persone possibili, la mente si sente appagata. Narcisismo è la parola chiave.
GRANDIOSITA’ ILLUSORIA V.S. FRAGILITA’ REALE.
Come ogni illusione priva di sostanza, anche gli Eidolon, per quanto grandiosi e “vincenti”, presto o tardi si rivelano per quello che sono: fumo destinato ad essere disperso dinnanzi alle tempeste della vita. Così, quando arrivano le vere difficoltà, quelle sfide a volte anche crudeli che la sorte a volte ci riserva, anche l’Avatar più appariscente, quello sulla cui creazione si erano magari investite centinaia di ore, svanisce come un fantasma esorcizzato. Allora lo sguardo del desiderio, proiettato in precedenza sull’Avatar, è costretto ad osservare il vuoto; in quel nulla apparente, fonte di desolante inquietudine, è però nascosta una grande occasione: quella di chiudere gli occhi e tornare ad ascoltare il proprio corpo. Sigillando la percezione esterna, per accedere a quella interna, si ritorna inevitabilmente al corpo: ciò che era stato abbandonato e dimenticato in nome del culto dell’immagine viene finalmente riconosciuto. A quel punto è inevitabile che tutte le emozioni rimosse in nome della grandiosità narcisistica riemergano: paura, tristezza, dolore, angoscia … tutto ciò che ha a che fare con l’umana fragilità tornerà ad esprimersi. Se sapremo ascoltare e accogliere queste emozioni, potremo risalire dal precipizio e tornare ad investire laddove era naturale che investissimo: sul corpo, con tutta la vibrante vitalità delle sue emozioni (piacevoli o meno).
LA SAGGEZZA DEL CORPO.
Le moderne Psicoterapie di stampo corporeo riconoscono l’importanza di tornare ad abitare il proprio corpo, allo scopo di renderlo il soggetto primario del desiderio. Finché è la mente a fare le scelte relative agli investimenti libidici, difficilmente queste scelte saranno in linea con i propri bisogni più profondi. Questo perché la mente funziona per immagini, il che implica una altissima suscettibilità alle induzioni esterne (cartellonistica pubblicitaria, televisione, Internet, eccetera); al contrario il corpo si basa su una antica e intramontabile saggezza: quella delle sensazioni che nascono da dentro. Questo significa che i suoi segnali, messaggi e desideri sono molto più aderenti alle reali necessità che abbiamo in quanto individui.
Quando il corpo viene riabilitato come soggetto del desiderio, le emozioni tornano a scorrere in esso; meno mentali e cervellotici di prima, diveniamo molto più umani e sensibili: sensibili innanzitutto a noi stessi, ai nostri più intimi bisogni che ora ascoltiamo, e poi anche all’altro, con tutto il suo bagaglio di fragilità. A quel punto l’oggetto del desiderio torna sostanziale: non più un Eidolon, un simulacro virtuale, bensì un altro materiale e dotato di dignità emozionale. Non necessariamente un essere umano, ma comunque un essere animato (pianta, animale o umano) e incarnato per il quale si provano emozioni vivide e pulsanti. La dignificazione dell’essere umano è questa: riumanizzare il desiderio.
Dottor Andrea Passeri
Psicologo, Formatore professionista e Psicoterapeuta in formazione.