Chiedere scusa richiede a sua volta molto coraggio perché vuol dire ammettere i propri errori, fare i conti con se stessi e ricercare un rimedio alla situazione. Le nostre scuse possono non essere sempre accettate, ma in primis per noi stessi ne vale davvero la pena.
È un’arte talmente sottovalutata, quella delle scuse, da essere ormai in estinzione. Eppure dovrebbe essere semplice: fai un errore, ti scusi, finisce lì. Invece no. Le scuse diventano molto spesso un modo per discolparsi, addossare la responsabilità alle vittime, scaricare barili, spostare il fulcro del problema altrove. Le scuse sono una cosa semplice, lineare.
L’avete fatta grossa e dovete scusarvi? Ecco come fare senza peggiorare la situazione.
Quando scusarsi?
Bella domanda. La risposta semplice è: quando si sa di avere ferito qualcuno o di essersi comportati in modi umanamente e socialmente inaccettabili. Una volta riconosciute queste ragioni, le scuse sono un passo necessario per riconciliarsi con gli altri e con noi stessi.
Se invece pensi di avere ragione, come non detto. Quella è una cosa che devi valutare tu, in un colloquio intimo con la tua coscienza.
“Ma io non volevo offendere”
L’intenzione non conta: anche se non volevi, potresti avere offeso qualcuno. Per fare un esempio pratico: chiamare qualcuno “negro” è razzista anche se tu pensi di non esserlo, anche se – per usare il linguaggio dei razzisti – hai “tanti amici africani! E quando li chiamo ‘negro’, ridono!”
Senza entrare nel merito: se qualcuno si offende, ha diritto di essere offeso. Se qualcuno ci rimane male, viene ferito da una cosa che fai, ha diritto ai suoi sentimenti. Si ritorna quindi al punto uno: puoi anche decidere di non scusarti, ma non puoi decidere come si sentono o si dovrebbero sentire gli altri.
Si può dare anche il caso di un’affermazione che forse non offende il destinatario originale ma viene letta come offensiva da altre persone. Il caso da manuale è il famoso complimento di Bruno Vespa alla scollatura di Silvia Avallone, a un Premio Campiello di qualche anno fa: Avallone disse di non essersi sentita offesa, ma non furono pochi quelli che fecero notare che l’uscita di Vespa era intrisa del tipo di sessismo che pensa che l’aspetto fisico delle donne sia talmente importante da dover essere commentato in qualsiasi contesto. L’assoluzione della destinataria del complimento non annullava il sessismo dell’affermazione. Potrebbe succedere anche a voi.
“Scusa ma” e “Scusa, però” non sono scuse.
La prima cosa da fare quando si chiede scusa è eliminare le condizioni, le giustificazioni e le auto-assoluzioni. “Scusa ma anche tu” non è chiedere scusa. “Scusa però” non è chiedere scusa. Le scuse devono essere incondizionate, non portare circostanze attenuanti, non porre le ragioni chi si scusa davanti a quelle di chi è stato offeso. Allo stesso modo: “Ma anche tu” non è una scusa, è un tentativo di dare la colpa agli altri per le proprie azioni.
Anche “Se ho offeso qualcuno, mi dispiace” è problematico. Altrimenti no? Se qualcuno ti assolve e ti dice “Non hai offeso nessuno” non ti dispiace più? Rivendichi la legittimità delle tue azioni? Lascia stare.
Come scusarsi
E’ necessario farlo in modo pulito, chiaro, senza condizioni: le scuse non sono una rivendicazione, sono un atto di guarigione. Sono un modo per dissolvere o alleggerire la negatività che abbiamo diffuso nell’aria, tornare dalla parte dei buoni, essere persone migliori. Valgono doppio se fatte a persone su cui abbiamo potere, nostri sottoposti, collaboratori, persone la cui sofferenza non può danneggiarci.