COLLOQUIO CLINICO N. 35, 3 MAGGIO 2018, MILANO
NOTE:
Il paziente è rimasto paralizzato dopo essere caduto dalla bicicletta
…forse il pavé era più scivoloso perché la mattina aveva piovuto. Ma non era la prima volta che andavo in bici con la strada in quelle condizioni. Ha presente il pavé?
Sì, ho presente
Ecco, allora ho fatto quello che facevo sempre. Ho preso la bici per andare in un posto. Ricordo benissimo dove dovevo andare ma non è rilevante per questo racconto. Dicevo, ho preso la bici e sono sceso in strada. Era un giorno normale. Di quelli in cui a Milano ci sono tutti, nessuno è in ferie. E tutti devono andare da qualche parte. Per carità, i mezzi funzionano a Milano, non è mica Roma. Però comunque è pieno di macchine. A Milano le macchine vincono sempre. C’è chi prova a combatterle con il motorino. Passano attraverso il traffico come serpenti.
Lei usa il motorino?
No no, per carità. Fin da piccolo ho sempre avuto paura del motorino. Andare forte su due ruote è una roba da incoscenti. Per carità. Lo so che lo fanno tutti ma io preferisco la bici. Cioè, pedalo e sento che il mio sforzo si trasforma in velocità. Ma è uno sforzo coerente con la velocità. Con il motorino muovi un po’ il polso e sei a settanta all’ora. Scherziamo? Per carità.
Cos’è successo il giorno dell’incidente?
Come dicevo ho preso la bici, aveva piovuto ma ormai c’era il sole. La strada era ancora un po’ bagnata ma forse non c’entra. Forse ricordo questo particolare perché quando sono caduto avevo la faccia che toccava l’asfalto. Proprio questa guancia [si tocca la guancia destra]. Mi ricordo che era bagnato e allora le racconto che aveva piovuto. Ma non c’entra, sono caduto per il pavé e per le macchine. Mica per la pioggia.
Mi fa capire la dinamica dell’incidente?
La strada aveva il pavé e c’erano le rotaie del tram. Poi c’era la fila di macchine parcheggiate lungo la strada. C’era il marciapiede ma era piccolo per passare con la bici. Poi le vecchiette ti urlano e hanno ragione. Allora quando vado sul marciapiede vado piano come chi cammina. Quindi non vado sul marciapiede perché a quel punto tanto vale andare a piedi. Però anche la strada non è il massimo, le macchine in movimento si stringono a quelle parcheggiate. Le macchine in movimento a Milano vogliono formare due corsie anche quando la corsia è una. Io correvo tra i binari del tram perché a destra rispetto i binari c’era poco spazio, giusto una strisciolina tra il binario e le macchine parcheggiate. Cioè, bastava per andare. Ma con il pavè la bici fa il saltelli ed è meno stabile quindi ho bisogno di uno spazio più largo, perché quando fa i saltini va un po’ a zig zag. E allora rischio di finire con la ruota dentro il buco del binario. Per una roba del genere si cade. O potrei urtare una macchina parcheggiata e rovinarla. Pensi che scrupoli che mi facevo. Peccato. Insomma stavo correndo in bicicletta in mezzo ai binari del tram ed ero quasi arrivato al semaforo. Mancavano cinquanta metri o meno, non so giudicare bene. Non ricordo. Però il semaforo era verde e una macchina dietro di me arrivava sparata perché voleva prendere il verde. Io lo capisco, anche a me non piace scalare la marcia per fermarmi, poi rimettere la prima per ripartire. Se posso prendo il verde pure io. Lo capisco perché mi ha suonato. La strada era più sua che mia. Nel senso che la strada è per le macchine che vogliono prendere il verde e per quelle parcheggiate che si riposano, non per le biciclette. Lo so, però dovevo passare di là. Ma la macchina suonava e io ho sterzato a destra per non intralciarla. Dovevo superare il binario del tram e mettermi nello spazio tra il binario e le macchine parcheggiate. Ma dovevo farlo in fretta perché altrimenti l’automobilista perdeva il verde e allora era tutto inutile perché doveva scalare la marcia e poi rimettere la prima per ripartire. Allora ho sterzato a destra ma ho colpito con la ruota un pezzo di pavé più alto. Di quelli che vengono in fuori dagli altri come le strade che si spezzano nei film apocalittici, perché magari c’è un terremoto o un altro cataclisma. Ovviamente a Milano non c’era nessun cataclisma, solo il pavé dissestato. E Io ci sono finito contro e mi è scivolato il piede sinistro dal pedale. Il sellino mi ha fatto male al culo perché le gambe non mi sostenevano più, il mio corpo pesava tutto sul sellino. Ho perso l’equilibrio e sono caduto. Ho sbattuto la schiena e mi sono rotto due vertebre. Però la macchina aveva preso il verde.
Dopo cosa è successo?
Avevo la faccia appoggiata al pavé. La schiena mi faceva male fortissimo. Come se sbatti mille volte il nervo del gomito contro uno spigolo. Mi sembra che piangevo ma forse aveva solo piovuto. Le persone del marciapiede sono venute da me, certe mi parlavano e certe guardavano senza dire niente. Ero al centro dell’attenzione. Il semaforo era diventato rosso e… [taglio]
Non ha più camminano da quel giorno?
Sì, non sono nemmeno più andato in bici. Non posso. [taglio] Non muovo più le gambe.
Non è arrabbiato?
Vede dottore, la rabbia un po’ ce l’ho. Ma che succedeva me l’ero immaginato sa? Non sto dicendo che me l’ero sognato come pensate voi psicologi, ma ragionando uno quando va in bici a Milano capisce che non è al sicuro. C’è qualche pista ciclabile ma non arrivano sempre dove devi andare. Allora ti tocca sfidare il pavé. È un peccato perché Milano è tutta piana e andare di qua e di là in bicicletta sarebbe proprio bello. Secondo me ci sarebbe l’aria più sana.