In ogni epoca, civiltà o religione, il tema della morte è stato in qualche modo elaborato, talvolta ignorato o rimosso, in molti altri casi esorcizzato. Da sempre, infatti, l’uomo tenta di attribuire un qualche significato alla morte. L’obiettivo è quello di esercitare un controllo su ciò che – emblematicamente – è fuori dalla portata delle nostre scelte. E attribuire un senso (religioso, esistenziale, personale) alla morte è l’unica strategia possibile per placare la nostra paura di fronte all’ignoto. Parallelamente si impone la necessità di allontanare, evitare, considerare la morte qualcosa che non ci tocca, che riguarda gli altri. Si prova a far finta che non esista perché è più facile vivere senza l’angoscia della morte.
Come si pone allora la nostra società attuale, civiltà tecnologica e iperconnessa, di fronte al fenomeno della morte?
Innanzitutto è facile intuire come, nel tempo dell’assenza di confini tra privato e pubblico, anche la morte venga inghiottita dalle dinamiche social. Si pensi, ad esempio, a come sono cambiate negli ultimi decenni le modalità di gestione del dolore, del lutto e della commemorazione dei defunti. Sarà capitato a tutti di imbattersi in pagine Facebook o post/tweet dedicati a persone ormai scomparse. Guardiamo il lato positivo: le tecnologie digitali divengono oggi strumento al servizio di parenti e amici per perpetuare il ricordo della persona cara scomparsa. Gesti che si affiancano spesso a comportamenti più tradizionali e antichi associati al lutto e alla morte.
Sono diversi i temi attuali e dibattuti, nonché estremamente delicati, che si possono prendere in esame. La morte in diretta e la condivisione online degli ultimi momenti di vita, della malattia e del lutto, la commemorazione pubblica e social dei personaggi famosi e i selfie scattati durante eventi funebri. Non è semplice comprendere le motivazioni che stanno dietro queste nuove e talvolta macabre forme di condivisione.
In passato la morte veniva considerata qualcosa di intimo, privato, da commemorare in luoghi anche fisicamente separati dalla nostra quotidianità. Si pensi alla posizione dei cimiteri all’interno delle città, generalmente periferica. I social network hanno completamente rivoluzionato questi meccanismi, rendendo la morte e il lutto qualcosa di social, condiviso, addirittura globale e indelebile. Alcuni studiosi ritengono che queste manifestazioni virtuali forniscano uno spazio comune per condividere il dolore e sentirsi più uniti di fronte alla morte, proprio come quando sconosciuti depongono fiori sulla scena di una morte tragica. Anche se molti ritengono il web non particolarmente adatto a ospitare manifestazioni relative al lutto, è innegabile che in alcuni casi internet può diventare un luogo di diffusione di messaggi sinceri e di iniziative positive. Soprattutto nei casi di eventi tragici avvenuti a persone lontane dalla propria vita, l’espressione di cordoglio e commozione condivisa può sembrare un modo forzato ed esibizionistico di provare compassione per gli altri.
Il confine tra commemorazione autentica, esibizionismo, ricerca di empatia o, addirittura, manifestazioni patologiche non è sempre facile da individuare e va valutato caso per caso.
L’aspetto più critico di questi cambiamenti è rappresentato dal fatto che il potere e la gravità della morte vengono in qualche modo “diluiti”, hanno meno impatto sul sentire umano. Questo perché la morte è sempre a portata di mano – o meglio, di smartphone.
È chiaro che siamo fronte a un tema delicato e complesso poiché molte sono le variabili in gioco: la reazione al lutto, alla malattia e alla morte, così come il rapporto che ciascuno di noi ha con la tecnologia e i social network. Ma questi cambiamenti sono sotto i nostri occhi quotidianamente ed è importante avviare una riflessione costruttiva che ci aiuti a comprendere la portata del fenomeno.