Quando parliamo di madri tossiche ci riferiamo a quelle madri che rappresentano dei pilastri nell’educazione dei figli, ma sono ben lontane dal favorirne la maturità e la sicurezza personale, ancorandoli con pesanti catene che ne impediscono l’indipendenza fisica ed emotiva. È necessario chiarire che esistono anche padri tossici, nonni tossici, ecc.
Il legame di cura che una madre stabilisce con il proprio figlio la porta ad avere un peso ed un’influenza molto forti nella sua crescita attraverso il legame affettivo che essa mette in atto fin dal concepimento e che giorno dopo giorno si rinforza sempre di più, la relazione madre-figlio viene ad essere una delle relazioni più forti e profonde che ci possano essere. Man mano però che il figlio cresce, si avvia con sicurezza verso il mondo che l’aspetta, mantenendo sempre quel punto di riferimento che gli ha dato amore incondizionato, grazie al quale cresce sano e psicologicamente pronto.
Quando invece abbiamo a che fare con una madre tossica, ci troveremo di fronte anche un figlio immaturo e molesto. E ciò perché la madre tossica per potersi riaffermare personalmente ed avere l’idea di un maggiore controllo sulla propria vita ha bisogno di proiettare le proprie insicurezze sui figli nell’idea di poterle controllare perché fuori da Sé.
Ma cosa c’è dietro la personalità delle madri tossiche? Anche se è difficile da concepire, dietro il comportamento di una madre tossica c’è l’amore. Ma quando parliamo d’amore sappiamo tutti che ci sono due facce della stessa medaglia e cioè una dimensione capace di spingere e favorire la crescita personale dell’individuo amato a livello di coppia, di famiglia, di amicizia, ma anche un amore più “malato” in cui si esercita sulla persona amata sentimento egoista, interessato, soffocante e spesso distruttivo per entrambi. L’aspetto più preoccupante di tutto ciò è che i genitori che mettono in atto comportamenti tossici lo fanno a discapito di bambini, adolescenti e spesso anche giovani adulti che sono in una fase di maturazione personale molto complessa in cui l’autostima e tutto ciò che concerne una personalità forte e sicura è in piena crescita e stabilizzazione. L’atteggiamento di un genitore che riversa sul figlio ansie ed insicurezze non fa altro che creare in lui lacune ed insicurezze in alcuni casi insanabili.
Chiaramente una madre tossica avrà delle caratteristiche di personalità, dei vissuti che la differenziano da una madre sana o sufficientemente buona (Winnicott, 1974). Una madre tossica spesso nasconde una chiara mancanza di autostima e di autosufficienza che la porta a vedere nel figlio quell’ancora di salvezza da modellare e controllare affinché rimanga per sempre al suo fianco mitigando le proprie carenze. La paura di essere lasciata sola in una madre tossica con queste caratteristiche comincia a nascere quando vede che il figlio raggiunge un livello di autonomia tale da non aver più bisogno di lei ed è in grado di vivere la propria vita da solo. A questo punto la madre tossica presa dalla paura comincia a mettere in atto tutta una serie di comportamenti o “trucchi” che mirano a tenere i figli più vicini. Comportamenti che nel caso di bambini consistono nel proiettare le proprie insicurezze così da renderli a loro volta insicuri e paurosi nell’affrontare il mondo. Nel caso di adolescenti o giovani adulti (ed in alcuni casi adulti) hanno come scopo di instillare il senso di colpa per il tentativo di crescere allontanandosi.
Altra tipologia è legata all’ossessione per il controllo. Infatti tra le caratteristiche di una madre tossica c’è una vita ipercontrollata a causa di genitori rigidi, direttivi, pretenziosi che la porteranno a fare lo stesso con i propri figli. Il controllo diventa sinonimo di sicurezza, non sono in grado di vedere i limiti di questo comportamento. Il fatto che tutto rimanga sempre uguale a se stesso le fa sentire bene. Esse tendono ad esercitare il controllo pensando che con esso fanno del bene e dimostrano un amore verso i figli; pensano di rendere la vita facile da controllare sgravando i figli da tante incombenze affinché siano felici, in realtà non fanno altro che stringere ancora di più quel “nodo” che li tiene legati a loro: “Voglio solo ciò che è meglio per te e quindi evito che tu possa commettere errori…”. Il controllo giustificato dall’affetto è il peggior atto di iperprotezione, perché impedisce ai bambini di diventare autonomi, capaci e coraggiosi, ma soprattutto non gli permette di imparare dai propri errori.
Le madri ipercontrollanti hanno poi una forte tendenza alla proiezione, soprattutto di desideri insoddisfatti. Il tentativo di evitare che un figlio commetta degli errori, che abbia ciò che non ho avuto lei, che possa diventare ciò che non è potuta essere lei porta una madre tossica a dargli tutto ciò che avrebbe voluto lei senza chiedersi se è ciò che vorrebbero i figli, senza dare loro una scelta, pensando che con ciò mostrino loro amore incondizionato. In realtà si tratta di un falso amore, un amore interessato.
A questo punto sorge spontanea una domanda: “Che tipo di trattamento si può attuare con una madre tossica o qualsiasi altro membro della famiglia che mostri questa tipologia di relazione con un altro?”. Se ci si trova ad avere a che fare con “l’oggetto” della madre tossica è necessario lavorare sulla consapevolezza del soggetto che bisogna interrompere il ciclo di tossicità. Aver vissuto in una situazione del genere per molto tempo ha sicuramente lasciato delle ferite, ma esse non guariranno da sole. Favorire nel paziente la ricerca di un’autonomia anche se ha paura, aiutarlo ad avere la consapevolezza di dire “No” e mettere davanti le proprie esigenze, fare la “voce grossa” quando necessario e creare limiti che nessuno dovrebbe oltrepassare. Rompere un ciclo di tossicità di tale portata non è facile e creerà dei danni. Aiutare il paziente a portar fuori ciò che sente, ciò che vive, aiutarlo a rilevare i limiti di una relazione del genere favorirà sicuramente in lui quel senso di crescita che lo spingerà a porre dei confini tra ciò che è possibile e ciò che non può essere permesso. Va chiarito che non è una guerra, non si devono creare “morti e feriti” ma per affermare se stessi è necessario portare avanti le proprie ragioni.
Purtroppo riconoscere la manipolazione non è facile né per chi la subisce ed a volte neanche per chi la mette in pratica. Bisogna fare attenzione ad ogni parola, ad ogni comportamento che viene usato in modo naturale da persone “tossiche” che vogliono cioè creare un legame al fine di ottenere un proprio vantaggio.
Per quanto riguarda invece l’altro versante e cioè quello di colui o colei che attua il comportamento manipolatorio, è molto più complesso poiché ci troviamo al cospetto di una persona ferita, diffidente, ipercontrollante, poco interessata a modificare un comportamento che tutto sommato l’aiuta ad andare avanti. Quindi sarà innanzitutto difficile instaurare un legame terapeutico proficuo, soprattutto se dall’altro lato verrà percepito come un modo per cambiare uno status che ella tende a mantenere tal quale. La strategia giusta potrebbe essere quella di creare un legame empatico focalizzandosi sulla sofferenza che sta alla base del suo passato, cercando un’alleanza con quella persona che per una vita intera non ha mai potuto esprimere se stessa pienamente ma ha sempre dovuto controllarsi perché controllata a sua volta. Aiutarla a crescere in un’ottica di autonomia affinché dia a se stessa il “permesso” di esprimersi e fare ciò che ritiene utile per il proprio benessere senza creare la dipendenza in qualcun altro al fine di manipolarlo e controllarlo.
© Dott. Pasquale Saviano
Psicologo – Psicoterapeuta