C’era una volta l’esaurimento nervoso, dott. Giuseppe Di Maria

Si scopre oggi un termine, sempre più di moda, il “burnout” ovvero l’esaurimento nervoso provocato da stress correlato a lavoro. In realtà il termine era già conosciuto alle persone che avevano famiglia e la maggior parte degli esaurimenti nervosi, fino a qualche tempo fa, era provocato dal cambiamento di ritmi imposti dalla nascita di un figlio. Oggi no, oggi è il lavoro che ci colpisce a tradimento e, quasi naturalmente, le famiglie si dissolvono nelle nebbie dei nostri vuoti familiari.

Fare carriera per molti è più importante della propria serenità. Nei posti di lavoro si assistono a vere e proprie guerre di successione con tanto di agguati che niente hanno a che vedere con lo svolgimento di un compito per produrre qualcosa, ma ricordano spesso lotte medioevali. Il prodotto principale per il lavoratore moderno si chiama “promozione” e per una promozione molti sono disposti a giocarsi la serenità inconsapevolmente. Non è una questione di soldi o di bisogni, chi si gioca la libertà per lavorare entra in una vera e propria spirale che lo attanaglia. La chimera di guadagnare qualcosa in termini di considerazione diventa più forte dei propri affetti al punto da dimenticare il proprio figlio dentro un abitacolo parcheggiato al sole. 

Non c’è solo psicologia in tutto ciò. Le politiche economiche, aziendali, le crisi, hanno cambiato la natura intrinseca del lavoro. L’aspetto umano del lavoratore non sembra interessare più a nessuno (a parte qualche psicologo idealista). 

Eppure basterebbe poco. 

Con l’attuale tecnologia una giornata di lavoro potrebbe essere di 4 ore, si potrebbe allargare il mondo del lavoro almeno al doppio delle persone attualmente occupate e si potrebbe restituire tempo alle famiglie, alla vita e perchè no, ai consumi, con guadagno per le aziende stesse e anche per la felicità di qualche bambino. 

E’ l’uovo di Colombo, nessuno sembra accorgersi della soluzione a portata di mano.

E’ la “sindrome di Greta”, sappiamo benissimo quale è la cosa giusta da fare, ma chi ha responsabilità si guarda bene dall’attuare quelle politiche che cambierebbero veramente le condizioni imposte da un sistema suicida.