Tra la diagnosi avanzata da uno psichiatra e quella avanzata da uno psicologo esistono delle sostanziali differenze.
La diagnosi psichiatrica da sempre, ha privilegiato un approccio descrittivo e categoriale, che sembra però lontano dalla reale complessità del funzionamento psichico.
La diagnosi psicologica ha invece sempre guardato alla soggettività e complessità della mente individuale senza mai fermarsi ai soli sintomi e segni manifesti: “il metodo della complessità ci richiede di pensare senza mai chiudere i concetti, di spezzare le sfere chiuse, di sforzarci di comprendere la multidimensionalità, di pensare con la singolarità, con la località, con la temporalità, e di non dimenticare mai le totalità integratrici”. Inoltre, un elemento importante per una buona diagnosi in ambito psicologico è l’alleanza terapeutica che si instaura tra paziente e terapeuta, ovvero un accordo su compiti e obiettivi del lavoro da fare insieme e la costruzione di una relazione solida.
La diagnosi è un’ipotesi di lavoro, un’ipotesi su quel singolo paziente, un punto di partenza, al quale integrare sempre i nuovi dati, apportare modifiche, considerando l’individualità specifica del paziente, il momento e il contesto. E’ necessario integrare l’approccio idiografico, ovvero considerare la soggettività e le peculiarità del singolo individuo, con l’approccio nomotetico, ovvero cercare di organizzare i dati in leggi generali e generalizzabili per individuare cosa quel paziente ha in comune con altri, al fine di consentire un dialogo tra professionisti e un arricchimento delle conoscenze scientifiche verificabili.
Nella diagnosi, affidarsi a ciò che è direttamente osservabile, ovvero fare una diagnosi descrittiva come quelle relative al DSM (Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali), prescinde da ogni modello teorico, che è invece necessario quando vogliamo fare delle inferenze tra ciò che stiamo osservando e ciò che riteniamo essere il processo implicito dietro quella manifestazione, e in quest’ultimo caso si parla di diagnosi strutturale.
Aggiungo che, nel momento in cui il paziente riporta dei sintomi e il relativo malessere, un elemento fondamentale da tenere in considerazione è il funzionamento della persona. Ovvero, il livello in cui i sintomi stanno influenzando il funzionamento sociale, lavorativo e la qualità della sua vita. Ci sono persone che, pur riportando lievi sintomi, mostrano una marcata compromissione del proprio funzionamento nella società; e persone con sintomi importanti che invece mantengono, a volte però solo apparentemente, un buon funzionamento all’interno del proprio contesto di vita. Ritengo che questi dettagli siano particolarmente degni di approfondimento.
Per concludere, vediamo quindi come la diagnosi psicologica è un processo complesso e mai superficiale che, seppur inserendo la persona in una dimensione generale che ne consenta il confronto con altre persone, non mira a categorizzarla, ma a comprenderla nella sua meravigliosa e unica complessità di individuo inserito nel suo contesto.