Con una certa frequenza appare e riappare sulle pagine dei giornali, nei servizi dei vari media o sulla bocca delle persone il termine “Branco”. Si passa da notizie di cronaca a dibattiti che coinvolgono tutti ed in cui ognuno si arroga il diritto di dire la sua senza neanche sapere di cosa stia parlando. E spesso si tende ad usare questa parola associandola a negatività e comportamenti deplorevoli: se dei ragazzi violentano una ragazza si parla di branco, se danno fuoco ad un barbone è stato il branco; ed ancora: “il branco ha bullizzato la vittima”. L’utilizzo del termine molto spesso assume il connotato di sinonimo di gruppo di adolescenti maschi.
Ma a ben guardare il dizionario Garzanti definisce il branco come: “gruppo di animali della medesima specie che sono soliti vivere e spostarsi insieme”, già questo dovrebbe porci un dubbio sull’uso che se ne fa nell’applicarlo a giovani adolescenti; in questo caso solo per classificare un gruppo in senso dispregiativo.
Il branco (inteso come gruppo di animali) sottostà a regole e dinamiche complesse che mai però raggiungeranno la complessità delle regole e delle dinamiche che governano un gruppo di esseri umani, soprattutto di adolescenti. Inoltre va da sé che l’azione del gruppo non può essere ascrivibile alla somma dei comportamenti dei singoli ma è qualcosa di molto più complesso; e come afferma la teoria della Gestalt: “Il tutto è più della somma delle singole parti”.
Alla base di un gruppo di adolescenti esistono dinamiche che generano relazioni tipiche e si basano sull’esercizio del potere, il senso e la necessità di appartenenza, la ricerca di un capro espiatorio, il bisogno di un nemico esterno al gruppo, ecc., concetti familiari a tutti noi poiché tutti facciamo o abbiamo fatto parte di un gruppo e non di un branco.
Le caratteristiche del branco di animali sono perlopiù basate su un vantaggio reciproco (si vive e ci si sposta insieme per difendersi, procacciare, sopravvivere, ecc.) e sebbene all’interno del branco esistano ruoli, gerarchie e modalità comunicative stiamo comunque parlando di esseri viventi cognitivamente meno evoluti dell’uomo e dalla società meno raffinata. La capacità comunicativa e di simbolizzazione non può permettere di paragonare un gruppo di umani ad un branco di animali (del resto già in presenza di scimmie antropomorfe si parla di gruppo e non di branco) eppure è così.
Le dinamiche all’interno del gruppo di umani hanno la caratteristica del “come se”, del “saper pensare ciò che gli altri pensano”, capacità di simbolizzazione che permettono lo sviluppo delle complesse dinamiche che lo gestiscono. Infatti solo rifacendoci a queste dinamiche, alle capacità cognitive, alla condivisione di norme, all’accettazione o meno di regole, alla diffusione della responsabilità ed all’importanza di riti simbolici si può capire quanto un gruppo di esseri umani possa essere potenzialmente più dannoso ma non attribuendo ad esso semplicemente l’attributo di branco.
L’adesione al gruppo da parte di un adolescente, le necessità di inclusione in una fase della vita molto complessa non sono riducibili ad una sola parola: “branco”, Quindi non si può avere la pretesa di spiegare il comportamento umano attraverso una categorizzazione così misera ed inutile poiché il comportamento umano è qualcosa di più complesso, ricco e dinamico.
Il termine branco viene proposto in modo dispregiativo (cfr. Dizionario Garzanti della Lingua Italiana) e pone un forte accento svalutativo nei confronti dei giovani considerandoli non più persone ma animali. Purtroppo questo paragone non regge perché, parafrasando le parole di M. Twain: l’uomo è l’unico essere vivente che uccide i suoi simili per il piacere di farlo. Viene ancora una volta però rimarcata una convinzione che oggi hanno sempre più le persone: che gli adolescenti abbiano tutti comportamenti negativi, violenti e da stigmatizzare, soprattutto in gruppo. Questa visione favorisce la costruzione di un’immagine sociale degli adolescenti del tutto negativa che rende gli adulti a loro volta sempre più intolleranti alle nuove generazioni, ai loro comportamenti ed ai loro modi di essere; di rimbalzo, porta gli stessi adolescenti a rivestire questo ruolo ed a mettere in atto comportamenti inadeguati, violenti e stigmatizzabili dalla società. Perché poi dovrebbero comportarsi in modo socialmente accettabile se sono già considerati animali? È più probabile che si adeguino a quella visione ed entrino in un circolo vizioso che li porta ad attuare atti vandalici e comportamenti deplorevoli.
La caratteristica che sta alla base del disimpegno morale verso i nostri simili è quella di privarli della loro umanità; avviene ed avveniva con gli schiavi, è avvenuto con gli ebrei durante il periodo nazista, avviene con gli immigrati clandestini e non che solcano i mari per giungere nei paesi “più civilizzati” avviene ed avverrà con i giovani. Ecco che l’uso del termine “branco” ad indicare un gruppo di giovani che mette in atto un comportamento intollerabile altro non potrebbe essere che un tentativo da parte degli adulti di un certo disimpegno per creare nei loro confronti un forte distacco in quanto non appartenenti alla stessa categoria: gli esseri umani ma a quella delle bestie. Così si arriva pian piano alla perdita dell’empatia nei confronti dell’altro e si perde la capacità di pensare ciò che gli altri pensano, facoltà essenziale per poter interagire proficuamente in un confronto condiviso, accrescitivo e reciprocamente supportivo.
Del resto i segnali di un disimpegno nei confronti di giovani e adolescenti ci sono tutti e sono palesi da parte della società; famiglia, scuola, ecc. In un’ottica di sempre maggiore differenza e distanziamento tra due generazioni, adulti e giovani che non hanno nulla a che vedere gli uni con gli altri.
Uscire dalla convinzione che un gruppo di adolescenti che commette atti deprecabili sia assimilabile ad un branco è importante perché le nostre convinzioni così come le metafore che usiamo per esprimerle dicono tanto di noi oltre a costruire la realtà che abbiamo intorno e se per dare senso ad essa utilizziamo convinzioni sbagliate la affronteremo sempre in modo disfunzionale; impariamo a dare il giusto valore a ciò che ci circonda e ad usare termini giusti per rapportarci alla realtà.
Per approfondire:
S. Bonino “Fuori dal branco” in Psicologia Contemporanea, Gen-Feb 2000, 157, Giunti, pp. 12-13
© Dott. Pasquale Saviano
Psicologo – Psicoterapeuta