Il panico di Martina

Angeli e Diamanti

Ogni uomo vorrebbe essere ricco e bravo a giocare a pallone, ogni dona vorrebbe essere bella e di successo. Si crede che queste condizioni siano di per sé garanzia di felicità anzi, la massima felicità possibile. Eppure ecco come Martina Stella, meravigliosa e giovane racconta un periodo della propria vita, pochi anni dopo la fama per “L’ultimo bacio” e nel mezzo di una carriera perfetta, racconta il suo panico.

«È una mattina di primavera del 2006: un guasto tecnico ferma la corsa del treno in aperta campagna», racconta «Vado in tilt, assalita da un demone sconosciuto che si dimena dentro di me. È stato il più grave, ma non l’unico, attacco di panico. Finalmente a casa. Circondata dall’abbraccio della famiglia e di visi amici, dopo quattro mesi di lavoro sul set di un film per la tv. Con questo stato d’animo mi accomodo sul sedile della carrozza del treno per Firenze, a Impruneta, il piccolo paese dove sono nata. È una mattina del 2006, è primavera: un guasto tecnico ferma la corsa del treno in aperta campagna. Un incidente di percorso, è proprio il caso di dirlo, e vado in tilt, assalita da un demone sconosciuto che si dimena dentro di me. Sono in trappola”, penso. E nel giro di pochi attimi vengo travolta da tachicardia, sudore freddo, una morsa alla gola che mi paralizzano per lunghissimi minuti. “Stai tranquilla, non piangere, non è niente”, cercano di consolarmi un gruppo di ragazzi, porgendomi un bicchiere d’acqua. Ma qualcosa, anzitutto, mi dice che no, non si tratta di “niente”. E io voglio a tutti i costi sapere cosa mi è successo. Parto avvantaggiata, per la verità, perché da qualche mese sono in cura da una psicoterapeuta di Firenze, l’ancora di salvezza a cui mi sono aggrappata dopo un trauma emotivo privato, finito in pasto alla curiosità dei media. Quello che invece mi interessa dirvi è che i conti, prima o poi, si pagano. E che, quando non tornano, è inutile prendersi in giro, ignorarli, minimizzarli: guardiamoli in faccia, è meglio. Io ho iniziato a farlo. Sbobinare il nastro della propria vita non è semplice. Ci vogliono pazienza, onestà, umiltà per staccare dalla mente e dal corpo quelle maschere che ti sei o ti hanno appiccicato. Non è stato facile ammettere che non sono tutta d’un pezzo. E l’episodio sul treno purtroppo non è stato l’unico. Comincio a scrivere, a tenere una specie di diario. Vado a bussare alla porta di mio padre, per riannodare i fili spezzati nel 2002, quando…”

 

Il resto del racconto non ci interessa perché ognuno ha un proprio percorso di sofferenza e un proprio percorso di cura. Quel che non cambia mai e ci rende tutti simili è la qualità del dolore che ognuno di noi prova, ha provato o proverà, sia che siamo gli ultimi degli ultimi o i primi dei primi.

 

 

VIVI FELICE!