Parlo raramente con i genitori degli allievi, essenzialmente per una questione di ruolo: intervenendo nelle scuole come esterna, dopo le normali ore di lezione, ritengo più salutare e di largo respiro non assillare genitori e figli per qualsiasi cosa accada all’interno delle mura scolastiche.
Certe volte però mi è impossibile non cercare un dialogo.
E l’ultimo mi ha lasciato perplessa.
Yohan è un bambino di sette anni, con degli occhialoni tondi e spessi, dietro ai quali scintillano due occhi vispi e veloci, tali da dargli subito quell’aria del combina guai uscito da un fumetto.
A livello motorio e fisico, per quel che ho potuto constatare durante i tre mesi di laboratorio di circo di cui mi occupo, non aveva nessun tipo di problema.
Con gli altri bambini aveva una socialità, per quanto possibile definirla tale, normale : ha i suoi amici preferiti, una schiera di altri compagni con cui si avventura nei giochi, rari confronti verbali di natura conflittuale.
Nel gruppo di cui faceva parte dava qualche problema di disciplina, ma non più di altri, molto più complicati.
La cosa che pero’ non mi tornava, alla fine di ogni laboratorio, era la sua incapacità di guardarmi negli occhi, di parlare con me, di confrontarsi minimamente a quello che gli dicevo. Insomma per lui io non esistevo. O meglio, evitava il confronto con l’adulto. E quando lo faceva mi sembrava di avere a che fare con un bambino delle scuole materne, non delle elementari. Qualunque cosa venisse da me, un consiglio, un’osservazione, un insegnamento, lo fuggiva. Si nascondeva dietro agli altri o nel silenzio, girava lo sguardo evitando ogni tipo di contatto e di responsabilità.
Il penultimo giorno di laboratorio, prima del piccolo spettacolo di restituzione del lavoro fatto, decisi, all’ennesima assenza di risposta da parte sua, di capire nei limiti, chi fosse questo bambino.
Gli chiesi di aspettarmi all’uscita, perché avrei voluto parlare con lui e con sua madre.
Con lui e con sua madre.
« Signora buongiorno, mi scusi, sono l’insegnante di circo, volevo parlare con Lei e suo figlio, perché Yohan, alle volte, ha un comportamente un po’ immaturo per la sua età ».
« Buongiorno! Si, capisco..anche a casa… non vuole proprio crescere!»
« Non lo so se non vuole crescere, pero’ non ti manca nulla per farlo, vero Yohan ? Potresti provare a concentrarti un po’ di più..anche perché sei bravo se ti impegni ».
« Si ! Dovresti concentrarti di più!!», incalzo’ lei.
« Va bene, allora buona serata e grazie. Ciao Yohan ci vediamo la settimana prossima ».
« Grazie a Lei ! »
Girai le spalle, tornai all’interno della scuola, mi chiesi cosa non mi convincesse di quella conversazione apparentemente liscia e chiara.
Qualcosa mi sfuggiva, come Yohan.
Chiusi gli occhi e nel silenzio dei gesti rividi cos’era successo : appena usciti dal cancello della scuola la madre aveva preso suo figlio sotto il suo braccio, e da li’ lui non si era più mosso, mentre mi ascoltava gli tolse la giacca e gliela rimise come meglio lei credeva, mentre mi diceva che anche a casa era così, gli infilava il cappello fino agli occhi, quando ipotizzò che suo figlio non volesse crescere, gli allacciò la cerniera della giacca fino alla bocca, quando posi una domanda direttamente a lui, rispose lei e mentre lo rimproverava che doveva concentrarsi maggiormente, gli faceva una carezza in testa e lo strinse ancora più forte.
E no, quel giorno non faceva così freddo.
Non c’è giudizio né accusa nelle mie parole. Solo una riflessione su ciò che ci sfugge, alle volte.
Laura Paoletti