“Ho visto un angelo nel marmo e ho scolpito fino a liberarlo”
(Michelangelo Buonarroti)
In una canzone di un artista italiano con un look particolare, il viso buffo, i capelli in aria e lo sguardo stralunato troviamo parecchi contenuti interessanti che fanno riflettere.
La canzone è “Canzone a metà” e l’artista è Caparezza.
Come nella maggior parte delle sue canzoni, il titolo rimanda solo ad uno degli argomenti trattati e si riferisce, in modo leggero, a qualcosa che può sembrare esclusivamente artistico. In realtà il cantautore fa chiaro riferimento ad una condizione esistenziale che molte persone sperimentano nel corso della vita, ovvero la sensazione di vivere la propria esistenza “a metà”.
Al contempo, come sua abitudine, Caparezza cita opere, film e chi più ne ha più ne metta, che rimandano alla condizione di prigionia che riconcilia col mondo.
Quante volte nel corso della nostra vita abbiamo avuto paura di concludere un percorso? Di fallire o di varcare il confine? Quante volte abbiamo rinunciato a qualcosa di importante per paura di sbagliare e quante volte ci siamo sentiti incompleti?
A periodi alterni questa è una sensazione che moltissima gente vive ed è spesso quella che gli psicologi e gli psicoterapeuti affrontano durante le sedute con i pazienti che, il più delle volte, hanno difficoltà a capire da dove nasca quella maledetta sensazione di vivere “a metà” e di essersi quasi ricongiunti con un mondo in cui questa sembra dover essere la normalità.
Sì, perché il mondo di oggi non sempre ci permette di avere il tempo di capire, nella frenesia delle giornate, cosa davvero sentiamo e desideriamo; ed è per questo che dovremmo essere noi a dedicarci del tempo.
Trovo geniale il riferimento del cantautore ai Prigioni di Michelangelo che darebbero quella sensazione di disagio in grado di riconciliare la persona col mondo.
Infine Caparezza canta:
“Canzone a metà, volano poco come un foglio di carta piegato a metà.
Come i miei anni, gli sbagli, i ripensamenti, le cose fatte a metà.
Avrei vissuto un capolavoro se avessi fatto in tempo a..”
Credo che in alcuni casi ci si perda nel giustificare la propria infelicità o nel ripetersi che il momento giusto per cambiare le cose e per vivere il proprio “capolavoro” sia passato, sia stato perduto per sempre e, così, il rischio è quello di abituarsi e di far diventare la “condizione a metà” un vero e proprio stile di vita che conduce all’infelicità.
La cosa più bella è che molti di coloro che arrivano nello studio di uno psicologo riescono a darsi la possibilità di vivere la metà mancante, cercando gli spazi, i tempi, le passioni e la libertà di esprimersi che, da tempo, avevano perso per strada.
E lì, a quel punto, arriva la reale riconciliazione con la bellezza di quel mondo che solo sporadicamente riusciamo ad osservare.
“Tutti parlano di come vorrebbero cambiare le cose, aiutando a mettere tutto a posto: ma alla fine, se tutto va bene, si riesce solo a sistemare se stessi. Ed è già un gran bel risultato, perché in questo modo si innesta un effetto a catena.” (Rob Reiner)
Dott.ssa Claudia Corbari – Psicologa e Psicoterapeuta in formazione –
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