Piacere, sono io! Questioni e ripercussioni di… identità.
Già, ma chi sono? So esattamente chi sono, quali sono le mie inclinazioni, i miei desideri, le mie paure, i miei obiettivi, i miei limiti, le mie abilità?
La domanda “sai chi sei?” o “conosci te stesso?” appare spesso scontata (rispondiamo infatti il più delle volte con un’affermativa e decisa convinzione) e generalmente la risposta che diamo è parziale, a volte in linea con ciò che presumiamo essere le aspettative del nostro interlocutore.
In che senso?
Nel senso che – per esempio – se siamo ad un colloquio di lavoro e ci viene chiesto di riassumere la nostra identità, difficilmente inizieremo a parlare delle nostre debolezze, del fatto che temiamo i film dell’orrore o che adoriamo la sensazione della sabbia calda sotto la pianta dei piedi d’estate. Molto più facilmente adatteremo la nostra risposta all’interlocutore (quindi nell’esempio il nostro potenziale datore di lavoro o chi per lui/lei), preferendo un più semplice ed efficace elenco delle nostre abilità, tra cui la nostra determinazione, la propensione a lavorare in team e la buona capacità di problem solving.
Quindi abbiamo tante identità?
Per certi versi sì. Ciò non significa soffrire di quello che i thriller polizieschi definiscono come “personalità multiple”, ma in un certo senso ognuno di noi riveste “ruoli” diversi. Così una donna è contemporaneamente figlia, sorella, studentessa, lavoratrice, amante degli animali, tennista, ecc.
Ciò che complica ulteriormente la questione, è poi come ci vediamo noi, come ci definiamo all’interno di questi ruoli, nel bene e nel male.
Ossia, quali sono i nostri difetti e i nostri pregi. Se ci immaginiamo nel nostro ruolo di sportivi – ad esempio – possiamo essere coscienti di essere bravi in attacco, ma un po’ carenti nella difesa; in ambito lavorativo, possiamo vederci come più abili nel rapporto con il pubblico e meno efficaci con l’espletamento delle pratiche burocratiche, e così via.
Molto spesso, inoltre (giusto per complicarci l’esistenza), tendiamo ad avere una visione non realistica di noi stessi, calati nei vari ruoli che assumiamo. Per esempio possiamo ritenerci alquanto taciturni quando siamo in compagnia, mentre invece gli altri non notano tale caratteristica o, al contrario possono vederlo come un segno di rispetto e di non invadenza, nei confronti delle altre persone della compagnia. Sempre convinti che “conosci te stesso?” sia una domanda dalla facile risposta?
Come si suole dire “questione di punti di vista”.
Proprio tali punti di vista (e molto spesso il nostro in primis), ci portano a più o meno importanti “crisi di identità”. L’essere obiettivi con noi stessi ci risulta talvolta difficile (in alcuni casi addirittura impossibile), ed è da lì che si scatenano le nostre difficoltà.
Rimaniamo bloccati nelle nostre convinzioni (nell’esempio prima di essere “eccessivamente taciturni”), cui si associano ulteriori elementi che non fanno altro che complicare la situazione (“sono troppo taciturno/a … e questo non fa altro che isolarmi dagli altri … facendomi percepire come antipatico/a … e non avranno piacere ad avermi nella compagnia … e resterò solo/a”) e via discorrendo, generalmente seguendo un epilogo catastrofico.
Ciò mina significativamente oltre all’effettiva conoscenza di noi stessi, anche e soprattutto la nostra qualità di vita, benché tutto sia partito da noi, sia frutto di una nostra personalissima visione ed interpretazione della realtà (visione ed interpretazioni “disfunzionali”), cui si può porre rimedio con una sorta di “ristrutturazione dei pensieri distorti” e della visione di sé. Lavoro spesso intrapreso in molte psicoterapie.
La domanda “conosci te stesso?”, quindi, è tutt’altro che banale e richiede una buona dose di consapevolezza di sé e delle proprie caratteristiche.
E tu, conosci te stesso?
A cura del
Dottor Gianluca Franciosi
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