L’ottica dello psicologo clinico è l’ottica del particolare: più che guardare la foresta o il bosco, egli guarda il singolo albero, magari nelle relazioni che esso eventualmente intrattiene con altri alberi.
Ne consegue che le classificazioni personologiche, psicopatologiche e nosografiche non sono mai un punto d’arrivo ma ciò non toglie che essi possano essere un punto di passaggio intermedio nel corso dell’esplorazione psicodiagnostica e in particolare, le diagnosi di disturbo mentale sono punti di riferimento utili e a volte necessari per rispondere a domande delle istituzioni e della loro burocrazia, per favorire la comunicazione con il mondo sanitario, per poter cedere al vasto patrimonio di conoscenze e di risorse e di letteratura scientifica e si è costituito storicamente proprio in riferimento alle categorie diagnostiche.
L’esame psicodiagnostico può essere descritto come un complesso processo di raccolta, analisi ed elaborazione di informazioni volto a rispondere a uno dei tanti quesiti di pertinenza della psicologia clinica: le indicazioni relative all’opportunità di un trattamento psicoterapeutico, la valutazione delle condizioni psicologiche per gravi provvedimenti, l’accertamento delle componenti psicologiche di una condotta criminosa, l’integrazione di accertamenti di carattere medico-diagnostico.
La struttura formale dell’esame psicodiagnostico è costituita da una successione sistematica e intelligentemente organizzata di approfondimenti successivi.
Quanto più ampia è la base di conoscenza della ricerca scientifica e di esperienza dello psicologo, tanto più ampio e’ il ventaglio di ipotesi alternative che egli prende in esame e via via che progredisce l’esame psicodiagnostico, diminuisce l’incertezza circa le moltissime variabili di rilievo clinico, circa le varie ipotesi psicodiagnostiche, circa il decorso probabile di sintomi e manifestazioni psicopatologiche, circa le evoluzioni più probabili o più preoccupanti di una situazione problematica, circa le possibilità di intervento più idonee nel caso in esame.
L’esame psicodiagnostico non è una passiva raccolta di informazioni, ma un processo attivo, sostanzialmente simile a un processo di problem-solving e decision-making: un complesso processo di raccolta e di elaborazione di informazioni relative al soggetto in questione.
Ma è qualcosa di più ampio del semplice riconoscimento diagnostico di un disturbo mentale: è più di una diagnosi e per sua natura non opera nell’ottica della classificazione nosografica, ovvero della semplice categorizzazione del soggetto all’interno di una determinata malattia, ma nell’ottica dell’approfondimento e delle analisi del singolo caso e delle sue peculiarità.
L’obiettivo non è solo la collocazione del soggetto esaminato all’interno di una classe diagnostica, ma l’acquisizione di una conoscenza più approfondita del soggetto lungo molteplici dimensioni psicologicamente rilevanti.
Spesso avviene che l’esame psicodiagnostico possa includere la formulazione di una diagnosi di disturbo mentale: questa valutazione può essere una chiarificazione preliminare, un tassello imprescindibile, ma non esaurisce l’esame psicodiagnostico, che è un insieme più ampio e include la diagnosi e propri sottoinsiemi.
Fonti: Atkinson & Hilgard’s, Introduzione alla psicologia, Piccin, Padova 2011; Sanavio, Cornoldi, Psicologia Clinica, Bologna, il Mulino, 2001; Del Corno, Lang, Elementi di psicologia clinica, Franco Angeli, 2013.