Ormai sono all’ordine del giorno fatti criminali in cui sono implicati minorenni o giovani adulti. L’efferata violenza con cui vengono attuate queste azioni e lo sprezzo per la vita e la dignità altrui ci porta a pensare spesso a come siano stati cresciuti ed educati gli autori di questi comportamenti, a pensare che brutta tipologia di famiglie possono avere alle spalle questi ragazzi. Succede quindi che vengano intervistati i genitori o i parenti degli autori colpevoli o presunti tali. Non si tratta solo di genitori giovani di figli minorenni ma spesso ci si trova a confrontarsi con persone al di là con gli anni che cercano di portare o meno le ragioni dei propri figli.
Molti di questi per chiare ragioni di pudore, timidezza, vergogna, per una presa di posizione nei confronti dei rei o per le consegne imposte dagli avvocati, tendono tuttavia a rifuggire da telecamere ed interviste; per cui probabilmente chi si lascia intervistare o appare davanti ad una telecamera ha dei chiari intenti che vanno oltre la semplice analisi degli eventi o un confronto su ciò che è successo. Non possiamo quindi dire che sia un campione rappresentativo dell’universo dei genitori di figli colpevoli di un qualche tipo di reato.
Tuttavia, alcune affermazioni sono davvero poco condivisibili e rappresentano uno slogan giornalistico più che la reale visione della situazione: “Mio figlio non è un mostro!”. Essere genitori non è facile ed è ancora più difficile quando si percepisce il tradimento di un figlio che si macchia di condotte più o meno gravi perché ciò provoca un conflitto tra l’affetto per quello che è il proprio sangue e la consapevolezza che egli è stato colpevole di azioni biasimevoli, quindi agli occhi della società il prodotto di una famiglia incapace di crescerlo con regole ben definite e chiare.
Nella maggior parte dei casi i genitori non possono fare altro che schierarsi contro tutto e tutti per difendere il proprio figlio a spada tratta. Esistono tuttavia genitori che seppur a malincuore riconoscono l’errore dei figli riuscendo a dividere morale ed affetto accettando che il proprio figlio venga giudicato e punito per ciò che ha fatto.
Le azioni che commettono i figli, anche se non eccessivamente gravi o cruente ricadono inevitabilmente sui genitori andando a colpire le loro capacità genitoriali anche agli occhi della società ed hanno una loro rilevanza nella quotidianità, in ambito sociale, scolastico e del gruppo dei pari; rappresentano un enorme rilevanza che impatta sullo sviluppo sociale e morale di bambini ed adolescenti.
Soprattutto in ambito scolastico emerge la difficoltà degli insegnanti di affrontare e sanzionare le azioni negative dei loro alunni con i loro genitori. Accade spesso quindi che a seguito di reiterati comportamenti che infrangono le regole scolastiche (danneggiamento delle suppellettili, mancanza di studio) o del vivere civile (atti di bullismo, di violenza o di maleducazione) i genitori sono subito pronti a schierarsi in difesa dei figli e contro chi li accusa, anche in modo violento. Indubbiamente quando si parla di ambito scolastico non possiamo non tenere in considerazione la difficile “relazione” che negli ultimi anni si trovano ad affrontare scuola e famiglie, complice anche una classe genitoriale poco attenta ai comportamenti dei propri figli, poco incisiva nel rilevare e sanzionare i “comportamenti problema”. Sono tante le incomprensioni che segnano il rapporto tra le due agenzie educative che per antonomasia si occupano della crescita dei bambini e dei giovani con ruoli differenti e sicuramente con una confusione sui reciproci ruoli.
Soprattutto in ambito scolastico forte è il disimpegno morale nella difesa senza se e senza ma dei figli imputando agli altri la causa dei comportamenti inappropriati dei figli e spesso scaricando sugli stessi docenti colpe o pretese irrealizzabili da parte dei ragazzi. Tutto ciò per ridurre quell’inaccettabile consapevolezza che esiste una discrepanza tra i valori che molti genitori professano nei confronti dei loro figli ed il risultato spesso contrario delle loro azioni educative. La responsabilità che nasce dalle azioni dei figli di questi genitori spesso viene totalmente ignorata; sembra essere di fronte ad un legame di attaccamento malsano, in cui il genitore non riesce a vedere il proprio figlio o figlia come altro da sé, come autonomo e quindi capace di produrre azioni anche riprovevoli. Un’incapacità di distanziarsi da essi attraverso l’accettazione della loro crescita ed un’educazione funzionale fatta della trasmissione delle regole e del loro rispetto. Un fallimento nel processo di differenziazione tra il proprio sé e quello del figlio che si rivela alla fine un prolungamento del sé genitoriale.
L’altra faccia della medaglia è caratterizzata dalla convinzione che esercitare un ruolo educativo significhi mancare di affetto e quindi perdere quello dei figli nell’idea che la funzione genitoriale sia caratterizzata da assenza di biasimo e condanna nei confronti dei figli, anche quando meritino rimproveri e punizioni. La paura è che un rimprovero una punizione compromettano l’intera relazione genitore-figlio e che il ragazzo o la ragazza possa pensare che il proprio genitore non li voglia bene, oppure non volerne più a mamma e papà.
È senz’altro un deficit nella costruzione del ruolo genitoriale che purtroppo vede coinvolte molte famiglie in cui i genitori non sanno riconoscere né far fronte alle emozioni negative dei figli. Non hanno idea di cosa fare per conservare un rapporto di fiducia e di affetto con il figlio nel momento in cui si trovano nella situazione di doverlo giudicare per un comportamento socialmente inaccettabile; hanno paura, come detto, che evidenziando le negatività perderanno l’affetto e quindi scelgono di allearsi ai figli contro tutto e contro tutti, anche contro l’evidenza.
Questa confusione viene fuori soprattutto quando questi genitori si confrontano con i pubblici esterni, cioè tutto ciò che è al di fuori del nucleo familiare facendo scattare una difesa generalizzata ed incondizionata che li porti a rifiutare qualunque intervento seppur funzionale ma che vada contro le loro convinzioni nell’idea che solo loro possono giudicare e criticare propri figli, cosa che di fatto poi non sono in grado di fare. Tutto ciò purtroppo genera una frattura, che oggi si vede tutta, tra famiglia e scuola in cui spesso si rilevano contrapposizioni che portano i genitori ad agire anche violentemente nei confronti dell’istituzione scolastica e di chi la rappresenta (insegnanti, dirigenti, ecc.); questo si ripercuote inevitabilmente sulla società di cui fanno parte e faranno parte quei ragazzi che non saranno mai membri responsabili.
Per approfondire:
S. Bonino “Il figlio è mio e guai a chi lo tocca!” in Psicologia Contemporanea, Lug-Ago 2000, 160, Giunti, pp. 12-13
© Dott. Pasquale Saviano
Psicologo – Psicoterapeuta