Al giorno d’oggi è comune condividere le attività che svolgiamo quotidianamente, gli incontri che popolano la nostra vita, le emozioni gioiose che ci colorano le giornate. Condiviso con tutto il mondo sociale, in tempo reale. Tutto tranne, molto spesso, il dolore. Quando si è tristi, abbiamo la tendenza a nasconderci, a non mostrarla agli altri, a fingere un buon umore che in quel momento non ci appartiene. Quasi che fosse un morbo, un virus infettivo che gli altri vogliono scrupolosamente evitare di contrarre. La sofferenza umana sembra essere diventata un peso, un fardello che nessuno vuole caricarsi sulle spalle. E così, col proprio personale dolore, non comunicabile, ci si sente più soli, più scollegati alla realtà sociale circostante.
Eppure, un tempo, in società meno evolute della nostra, esistevano precisi rituali sociali, comunitari, attraverso il quale il dolore non solo veniva espresso, manifestato, urlato, ma anche condiviso, raccontato agli altri. Se ciò non eliminava la causa della sofferenza, comunque faceva sentire, intorno a sé, la presenza di una comunità che non solo ti comprende, ma ti sostiene. E così le difficoltà diventavano più leggere e, spesso, divenivano il motore per creare contatto con gli altri. Un contatto autentico, intimo, umano.
Non esiste momento più intimo che la condivisione del dolore. In quel momento, la persona è priva di maschere, vulnerabile, nuda con le sue paure di fronte all’altro. E’ semplicemente umana. Ed è più facile sentirsi in compagnia di un essere umano come te, con debolezze simili alle tue.
La condivisione del dolore è propulsore di solidarietà, di legami che sostengono, di amicizie che riempiono, tutt’altra cosa rispetto all’artificiosa e forzata condivisione di momenti felici, eccitanti, intensi. Quasi che l’uomo sia costretto ad esser perennemente felice. E questa ricerca ossessiva della felicità, che rinnega la valenza positiva della sofferenza, crea paradossalmente i presupposti per un crollo depressivo.
Perché se siamo tristi non siamo socialmente accettabili, perché se siamo tristi non siamo ok.
Impariamo ad esprimere le nostre sofferenze, impariamo a comunicare le nostre difficoltà. Questo ci permetterà di essere persone autentiche, capaci di creare rapporti autentici. Ed è questa la vera base per un’esistenza piena e serena.