QUANDO LA PAZZIA è L’UNICA SOLUZIONE
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In un mondo che manifesta segni di squilibrio di ogni genere e tipo, in cui l’equilibrio dell’uomo con la terra che “lo ospita” è in cortocircuito, in cui gli esseri umani e le società manifestano i più concreti segni del più generale malessere, un problema – sopra tutti i problemi – è bene che sia posto.
Come faccio, io, a restare normale in un mondo così pazzo?
Se, infatti, ci fosse una persona normale in un gruppo di folli, egli sarebbe indicato come il folle del gruppo.
Fin dal principio, la psicoterapia e la psichiatria si sono scontrate con questo problema, che è talmente semplice e comprensibile che non si è ancora trovato il modo di aggirarlo.
Pazzia e normalità sono concetti molto relativi. Non a caso nelle prime edizioni del DSM esistevano “disturbi mentali” come la drapetomania (lo schiavo nero che, essendo malato di mente secondo gli psichiatri, rifiuta di essere schiavizzato) o l’omosessualità (poi depennata dalla lista dei disturbi mentali, curando – come disse Paul Watzlawick – milioni di persone con un solo tratto di penna). Sarebbe perciò lecito porsi una domanda del tipo:
chi sei tu (psichiatra, psicoterapeuta, psicologo) per dire che io sono pazzo e tu sei (saresti) normale?
La risposta (fallimentare) a questo problema si basa o sul principio di autorità (non sono pazzo, perchè io sono l’esperto) ed in tal caso non è ragionevole, o sul principio di realtà (inteso nel senso comune piuttosto che in termini psicoanalitici).
Il principio di realtà, spiegato in termini semplici, è il seguente: se la tua visione della realtà è vicina alla realtà e la rispecchia, allora sei normale, se invece si allontana dalla realtà e non la rispecchia, allora sei pazzo.
Questo è un modo di aggirare il problema riproponendo la stessa presunzione travestita. Infatti si può sempre dire: ma come fai tu a dire che la mia visione è sbagliata? E la risposta diventa: perchè la mia visione è giusta, e dato che la tua è diversa, allora sei pazzo.
Senza voler entrare nel merito di come io, come Psicoterapeuta e docente di Psicologia Clinica, rispondo a questo sempreverde ed attuale problema – capace da solo di invalidare tutti i principali modelli di intervento psichiatrico e psicoterapeutico (modelli che, non a caso, non ho mai utilizzato), mi permetto di ricordare che questo problema, tanto discusso, è espresso al meglio non nei noiosissimi testi che usualmente gli psicologi amano mal scrivere, bensì nel talmud babilonese.
Il lettore mi permetta di raccontare, per come la mia memoria me lo propone, questo meraviglioso passaggio, tanto bello da rendere tiepida ogni mia parola e perciò adatto a concludere questa breve riflessione:
Un giorno, re Salomone fece venire il suo primo consigliere e gli disse:
– ho letto nelle stelle che chiunque mangerà il raccolto di quest’anno verrà colto dalla follia. Cosa facciamo amico mio?
– Oh, re Salomone, date ordine che si preparino per noi delle scorte prelevate dai raccolti degli anni precedenti e noi non toccheremo ciò che crescerà quest’anno.
– A che servirebbe, amico mio? rispose Salomone
Resteremmo gli unici sani di mente in un mondo in cui tutti gli uomini sono colti dalla pazzia.
Direbbero che siamo noi a esser pazzi, e non loro. Nemmeno, però, ciò che resta dei raccolti degli anni precedenti basterebbe a saziare tutto il popolo.
– Oh re, che fare dunque?
Salomone rispose:
Non abbiamo altra soluzione che esser pazzi con tutto il popolo. Ma vorrei che fossimo diversi in una cosa: la consapevolezza della nosra pazzia!
– Come riuscirci?
– Tu e io ci incideremo sulla fronte il segno della pazzia. Ogni qual volta io ti guarderò, ogni qual volta tu mi guarderai, entrambi sapremo che siamo pazzi, che ci fu un tempo in cui non lo eravamo e che verrà forse un tempo in cui non lo saremo più!