I meccanismi paradossali dell’ansia

La parola Ansia deriva dal verbo latino “ango” (altresì progenitore di “angoscia”), che significa stringere o soffocare. Si riferisce quindi direttamente al sintomo finale di molte sindromi ansiose, in particolare degli attacchi di panico, quella sensazione di soffocamento, di mancanza d’aria che le caratterizza (Nardone, 2017).

Poco ci dice, però, rispetto al processo che costruisce tali problematiche, e a quali possono essere gli interventi appropriati per superarle. Infatti, concentrarsi sul risultato finale di una serie di fenomeni (come l’attacco di panico) non può guidarci nel mettere in atto le azioni più efficaci per interrompere il processo che lo crea (Watzlawick et al., 1974).

Ecco perchè alcuni autori hanno sottolineato l’importanza di studiare i problemi a partire dalle loro soluzioni: se si trova il modo di interrompere il circolo vizioso che alimenta il panico e l’ansia, possiamo dire di conoscerne la natura (Nardone e Portelli, 2005).

 

Le Tentate Soluzioni delle Sindromi Ansiose

Nello specifico, quando lavoriamo con persone sofferenti di problemi ansiosi, osserviamo tre tipologie di Tentate Soluzioni Disfunzionali messe in atto (Nardone, 1995; Nardone, 2013). Parliamo di Tentate Soluzioni Disfunzionali riferendoci a quelle azioni, consapevoli o inconsapevoli, che compiamo al fine di migliorare una data situazione di vita, eliminare una certa sofferenza, cambiare alcune nostre reazioni, e così via. Nello specifico delle sindrome ansiose esse sono finalizzate, per l’appunto, a diminuire l’ansia: spesso, però, quando un tentata soluzione non risolve il problema, contribuisce, paradossalmente a mantenerlo, rendendolo sempre più strutturato e sofferto (Watzlawick, 1974).

Evitamento

Si parla di evitamento per riferirsi al tentativo di allontanare da sè ogni situazione che mette paura. Sebbene si tratti di un meccanismo naturale, portato all’estremo può avere estreme conseguenze; pensiamo ad esempio alle sindromi agorafobiche, all’interno delle quali la persona restringe drammaticamente i propri orizzonti vitali, nel tentativo costante e disperato di evitare eventi fantasticati o temuti (ad esempio, gli attacchi di panico).

Sebbene sul momento la persona che evita possa sentirsi rassicurata dall’essere riuscita a schivare il pericolo paventato, sul medio periodo il meccanismo dell’evitamento rischia di intrappolare chi ne fa uso; esso conferma infatti alla persona la sua incapacità, rendendola sempre più psicologicamente inabile al suo contrario, cioè all’affrontare e superare le proprie paure.

 

Richiesta di rassicurazione e aiuto

Le richieste di rassicurazioni e di aiuto sono finalizzate, dal punto di vista della persona con problematiche fobiche, a mantenere una seppur passeggera e illusoria sensazione di tranquillità e sicurezza. Quest’ultima però, lungi dall’essere costruita su una esperienza reiterata di autoefficacia nella gestione della paura, si basa unicamente sulla presenza rassicurante dell’altro. Egli, nella sua volontaria o involontaria partecipazione al problema del/della coniuge, amico/a, familiare, manda a quest’ultimo due messaggi contraddittori: da un lato un messaggio d’amore, “ci sono perchè ti voglio bene”, dall’altro una conferma dell’incapacità del fobico: “ci sono perchè da solo non sei in grado”. Purtroppo quest’ultimo messaggio reiterato conduce al rafforzamento del disturbo.

 

Controllo

Come ha messo in evidenza Wegner (1987) nel suo famoso articolo “I paradossi del controllo mentale”, cercare di controllare il “comportamento del nostro pensiero” tramite la volontà, direzionandolo verso le mete a noi più consone, avvia una serie di pericolosi paradossi (double bind – Watzlawick et al., 1971). Essi tendono a creare fenomeni opposti a quelli desiderati: per questi motivi si alzano sempre più forti le critiche al cosiddetto “pensiero positivo”. Spesso, infatti, sforzarsi di avere pensieri pieni di felicità o serenità, tende a volgere la mente verso le sue oscurità più spaventose: un vero paradosso (Nardone & Balbi, 2008).

Tale paradosso agisce anche nelle sindromi ansiose: cercare di sopprimere l’ansia, l’insicurezza, la mancanza di respiro, sforzarsi di “stare calmi” può generare circoli viziosi all’interno dei quali si perde sempre più quel controllo che si pensava di poter mettere in atto.

E l’ansia si acuisce, non di rado trasformandosi in panico.

 

Una Terapia efficace per l’Ansia

Ed è proprio sulla base della conoscenza di tali meccanismi disfunzionali, che tendono a moltiplicare, al posto di attenuare, le sensazioni di allarme e ansia, che sono stati costruiti i protocolli della Terapia Breve Strategica per i problemi d’ansia (Nardone, 1995; Nardone, 2017).

Tali protocolli permettono, tramite prescrizioni non-lineari e stratagemmi comunicativi e comportamentali, di invertire in tempi brevi la dinamica disfuzionale del disturbo, in modo da ristabilire una sana interazione con le emozioni di paura, che possono quindi essere superate senza trasformarsi in panico o ansia incontrollabile. Le Tentate Soluzioni sopra descritte, in altre parole, vengono rivoltate contro loro stesse, portando ad un rapido collasso dei meccanismi che mantengono il problema.

 

 

Dott. Giacomo Crivellaro

Psicologo Psicoterapeuta a Firenze e Parma

www.giacomocrivellaro.it

 

Bibliografia

Nardone, G. (1995). Paura, panico, fobie. Firenze: Ponte alle Grazie. 

Nardone, G. (2013). Psicotrappole. Ovvero le sofferenze che ci costruiamo da soli: imparare a riconoscerle e a combatterle. Firenze: Ponte alle Grazie.

Nardone, G. (2017). La terapia degli attacchi di panico. Firenze: Ponte alle Grazie.

Nardone, G., Balbi, E. (2008). Solcare il mare all’insaputa del cielo. Lezioni sul cambiamento e le logiche non ordinarie. Firenze: Ponte alle Grazie.

Nardone, G., Portelli, C. (2005). Conoscere per cambiare. L’evoluzione della terapia breve strategica. Firenze: Ponte alle Grazie.

Watzlawick, P., Weakland, J. H., Fisch, R. (1974). Change. Della formazione e soluzione dei problemi. Roma: Astrolabio.

Wegner, D. M., Schneider, D. J., Carter, S. R., & White, T. L. (1987). Paradoxical effects of thought suppression. Journal of personality and social psychology, 53(1), 5.

 

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