Le relazioni tossiche vanno in scena: una breve panoramica sul Triangolo Drammatico

triangolo drammatico

 

Tutto il mondo è un teatro e tutti gli uomini e le donne non sono che attori: essi hanno le loro uscite e le loro entrate; e una stessa persona, nella sua vita, rappresenta diverse parti.
(William Shakespeare)

Non solo a teatro per il tempo che dura una rappresentazione ma nella nostra vita di tutti i giorni, nelle nostre relazioni interpersonali ed in particolar modo in quelle significative, quelle affettive, gli umani si calano in dei ruoli, giocano dei giochi. Non necessariamente ne sono consapevoli, anzi, spesso quanto più è rigida la maschera ed il copione è scarno per una grave situazione di sofferenza emotiva, quel ruolo diventa la loro intera pelle, la loro intera essenza. Quanto più la persona è sana e flessibile tanto meno si dedicherà ad interpretare una sola parte nel corso della propria esistenza.

Avete mai avuto la sensazione di “ritrovarvi incastrati” in una situazione che si ripete costantemente, indipendentemente dalle persone che avete davanti? Di trovarvi in una relazione che finisce sempre allo stesso modo? Di sentire che, nonostante gli sforzi fatti, il vostro ruolo è sempre quello? Allora probabilmente senza saperlo state “recitando” nella coppia (amicale o sentimentale) o nel gruppo il vostro “copione” solito. Prima di arrabbiarvi, di dire “Eh, ma io non lo faccio apposta…Mica mi diverto…Colpa sua…E’ che sono circondato da stronzi…Guarda che io non volevo mica finisse così!” fermatevi un attimo.

I giochi di cui parliamo oggi non sono divertenti, sono fonte di enorme sofferenza per la persona e sono verosimilmente indicativi di una sorta di “blocco” nel proprio percorso di vita a dinamiche arcaiche, a schemi appresi in famiglia per imitazione o perché erano l’unico strumento del bambino per sopravvivere adattandosi in quel contesto specifico, ma che attualmente, cambiato l’ambiente ed il bambino cresciuto, non sono più adattivi, diventando anzi dei ceppi che ne limitano la crescita e lo sviluppo verso l’esterno. Probabilmente quindi nell’effettuare un gioco, la persona, invece di utilizzare risorse e opzioni adulte nella gestione della relazione, attiva quelle strategie che nell’infanzia si erano dimostrate costantemente funzionali ad ottenere attenzioni (ovviamente positive ma anche negative perchè pur sempre meglio del non esserci nella mente dell’ Adulto di riferimento).

Vediamo ora meglio cosa sono i giochi in “Psicologichese”. Secondo E. Berne, il fondatore dell’Analisi Transazionale “Il gioco psicologico è una serie di transazioni ulteriori ripetitive a cui fa seguito un colpo di scena con uno scambio di ruoli, un senso di confusione accompagnato da uno stato d’animo spiacevole come tornaconto finale, in termini di rinforzo di convinzioni negative su di sé, sugli altri, sul mondo”. Per essere definiti tali devono essere caratterizzati da ripetitività (ogni persona gioca il suo preferito più e più volte. Attori e contenuti possono cambiare ma il “copione” è sempre lo stesso…E anche il partner, pur formalmente cambiando, presenta certe caratteristiche che consentono al gioco di essere giocato), da inconsapevolezza (la persona li mette in scena senza rendersi conto della propria corresponsabilità nel generare e nel mantenere il loop “perverso”) e da scambio di ruoli nel corso dell’interazione.

Il più famoso dei copioni patologici è quello descritto da Stephen Karpman, il cosiddetto “triangolo drammatico” che si gioca benissimo anche in 2 e comprende i ruoli di Vittima-Salvatore-Carnefice (o Persecutore). Come già detto, sono ruoli che nascono per “agganciare” l’altro secondo spesso delle dinamiche di complementarietà: possiamo immaginarli come dei tentativi distorti (perché estremamente rigidi e fonte di sofferenza) ma efficaci di comunicazione.

Così abbiamo la Vittima che si presenta in scena proclamando un copione di vita infarcito di fallimenti, di colpe e responsabilità attribuite agli altri, di insuccessi e sfortune una dietro l’altra. La Vittima si presenta come passiva, mite (troppo mite a dire il vero!), remissiva, pronta a farsi schiacciare l’unghia incarnita senza muovere un muscolo del viso…Anzi, per restare in metafora, spesso permettendo all’altro che le schiacci il dito sofferente per “non offenderlo”. E’ però solo un ruolo apparentemente di debolezza: la Vittima infatti è esperta nel mettere in gioco dinamiche passivo-aggressive con il proprio interlocutore. Convinta di essere una persona non degna di amore crede che per conquistare l’altro debba permettergli di fare di tutto perché nella propria mente ella è così che si comporta con gli altri. Frequenti sono il senso di sentirsi ancora “bambino” e la paura della responsabilità: meglio attribuire tutto all’esterno perché sarebbe doloroso e difficile, non sentendosene in grado, portare avanti istanze e desideri personali dove ci si potrebbe inevitabilmente esporre al fallimento.

Il bias di pensiero è “Visto che io faccio tutto per te mi aspetto che tu, senza chiedere, faccia tutto per me”. Questo però è impossibile da ottenere per diversi motivi: intanto, perché la Vittima non chiede mai ma, contemporaneamente, pretende dall’altro. Poi, perché non sempre il fare quel che l’altro chiede è possibile o coincide con i propri desideri più intimi, che ella dovrebbe invece imparare a riconoscere e validare da sè. Invece così facendo, quando ella non si sente riconosciuta e soddisfatta sperimenta per l’ennesima volta vissuti di esclusione o di non amabilità e diviene nella relazione estremamente aggressiva. La Vittima quindi fa una transizione nel ruolo del Carnefice.

Il Carnefice è l’esperto nello svalutare gli altri, facendoli sentire inadeguati ed incapaci con le proprie critiche, la propria rabbia ed il proprio “sadismo”. Se la Vittima si pone in posizione down nella relazione il Carnefice è l’up per eccellenza. Non sempre il Carnefice è però fisicamente aggressivo, anzi: molto spesso usa la violenza verbale per sottomettere le proprie Vittime muovendo in loro la paura. La paura, essendo l’emozione che più di tutte disorganizza il pensiero, tiene incatenata la Vittima al Carnefice non permettondole lucidamente di capire la situazione in cui si trova. Come la Vittima evita il confronto alla pari lamentandosi ed incolpando l’altro dei propri insuccessi o vittimizzandosi senza poi effettivamente muoversi in modo strategico per cambiare se stessa così il Carnefice evita il confronto alla pari “facendo la voce grossa” per rimpicciolire il proprio interlocutore in modo da vincerlo senza dovercisi davvero relazionare.

Abbiamo infine il Salvatore. Come il Carnefice anche il Salvatore tiene la propria Vittima in scacco (o meglio ancora, la Vittima sceglie di farsi tenere in scacco dagli altri due che le fanno da specchio) non però attraverso un gioco di forza ma attraverso la conferma della sua inettitudine: se infatti il Salvatore non ci fosse la Vittima dovrebbe imparare a salvarsi da sé. Spesso il Salvatore si descrive nei termini di un “martire”, rivendicando magari anche con una certa sottile rabbiosità la propria “bravura” nel “mettere una pezza” ai danni fatti dalla Vittima. Facendo così ella ottiene per sé un senso di gratificazione personale ed un senso di efficacia davanti ai propri occhi ed a quelli del mondo ed attrae, seducendole, moltissime Vittime che a lui fanno riferimento per avere una guida nel mondo. Il Salvatore però senza Vittime a propria volta perderebbe il proprio ruolo nella relazione: nel momento infatti in cui chi era solito farsi salvare impara a salvarsi da sé allora non è infrequente che si veda “in scena” una transizione del Salvatore nel ruolo di Persecutore rabbioso che cerca di “riprendersi” la propria ex-Vittima.

Come scrive Karpman stesso: “Quando si fa l’analisi del dramma bastano tre ruoli a descrivere quella inversione emotiva che in realtà costituisce tutto il dramma. Tali ruoli di azione, in contrasto con i ruoli di identità di cui abbiamo parlato, sono il Persecutore, il Salvatore, la Vittima: P, S, V, nel diagramma. L’azione drammatica ha inizio quando questi ruoli vengono stabiliti o previsti dal pubblico. Senza scambio di ruoli non c’è dramma…Il dramma è assai simile ai giochi transazionali, ma contiene un maggior numero di scambio per evento, e spesso una persona recita due o tre ruoli alla volta. Inoltre i giochi sono molto più semplici e lo scambio di ruolo è in essi più evidente. Per esempio, nel gioco “sto solo cercando di aiutarti” nel triangolo drammatico avviene una rotazione (quasi in senso orario) dei ruoli: la Vittima diventa Persecutore e il Salvatore diventa Vittima