LA SPETTACOLARIZZAZIONE DEL DOLORE

Capita a tutti di vivere una relazione difficile, o una storia d’amore che finisce, così come un litigio fra amici o parenti, una sofferenza dovuta ad un forte dolore ma non a tutti (anzi fortunatamente alla maggior parte) viene in mente di mettere in scena tutta la faccenda in un set televisivo. Il desiderio di rivalsa può portare, in alcuni casi, a volersi contrapporre all’altro pubblicamente e nelle sedi meno opportune per “sbattergli” in faccia la propria verità.
Su questa base nascono e riempiono i palinsesti dei canali televisivi programmi che non fanno altro che alimentare quelle tendenze voyeuristiche che caratterizzano molte persone che trascorrono a volte ore ed ore ad osservare padri e figlie angosciate che si cercano e si trovano, fidanzati e fidanzate che devono chiudere una storia o svelare un tradimento, sconosciuti (giovani ed anziani) in cerca di una relazione.
Il tutto è spesso costruito per tenere incollato lo spettatore alla tv (soprattutto durante la pubblicità) grazie anche ad un pubblico in studio che esprime la propria opinione, aizza o cerca di calmare gli animi, gestito da un abile direttore d’orchestra che interviene al momento giusto con interventi studiati ad hoc per dirigere la trasmissione là dove otterrà maggiori consensi e quindi audience.
Il mezzo televisivo attira sempre di più pubblico e partecipanti; il passaggio da una situazione privata raccolta in cui discutere i propri dilemmi e le problematiche che caratterizzano i rapporti (i panni sporchi si lavano in famiglia) è avvenuto lentamente verso ciò che oggi è una necessità di tutti cioè quella di apparire, di essere apprezzati; tutti abbiamo bisogno di un click, di un like, di un cuore che attestino il nostro valore.È palese, se vogliamo, il ritorno a qualcosa di pubblico, di condiviso, un luogo esterno o interno alla televisione in cui si parla di questa o di quella persona ed in cui si può narrare, sparlare, confrontarsi o criticare il comportamento poco prima nella trasmissione. In tutto questo il diretto interessato rimane totalmente all’oscuro di ciò che si dice di lui perché molto probabilmente non avrà mai a che fare con il suo pubblico, o almeno così dovrebbe essere.
Lo spazio offerto da tali spettacoli non è mai condiviso e finalizzato al confronto. Il fine del programma è quello di creare uno spazio che faccia leva sulla curiosità delle persone, sulla drammaticità delle storie per vendere qualcosa, inserendo i “consigli per gli acquisti” tra una lacrima ed un momento di tensione. In ciò i conduttori si rivelano essere dei maestri, perché riescono a farsi strada nei desideri più profondi del pubblico, nelle loro forme di voyeurismo più forte e per fare ciò utilizzano il protagonista o i protagonisti delle loro storie, aizzandoli, a volte placandoli ma perlopiù esasperando i toni di molte discussioni che potrebbero tranquillamente risolversi tra le mura di casa.Alla fine, i partecipanti a queste trasmissioni, laddove non siano attori scelti ad hoc che recitano un copione, non solo non risolvono i loro problemi, ma può capitare che si ritrovino in condizioni di disagio psicologico ancora più profonde e complicate da gestire.
Ciò che inoltre va tenuto in considerazione è la facilità con cui si passa dal generale al particolare e viceversa, ovvero con quanta facilità si tenda a far diventare di carattere generale situazioni e vissuti che hanno a che fare col singolo o con due persone e come questo porti tutti ad allontanarsi dalla considerazione che certe situazioni sono personali, uniche ed irripetibili. Pertanto le questioni vengono utilizzate come generici comportamenti che possono essere attribuiti a chiunque oltre quelli che li rappresentano in trasmissione escludendo altre possibili soluzioni ed altri vissuti diversi. Ciò non fa altro che creare confusione tra ciò che si vede in tv e ciò che si vive nella realtà portando ad un intreccio della propria vita con quella che ci viene mostrata in modo artefatto e ben costruito.

Ovviamente per rendere il tutto più coinvolgente la presenza degli “esperti” è un must ma neanche questi riescono a dare una direzione logica all’argomento, vuoi perché spesso si trovano in situazioni paradossali vuoi perché di certo non possono smontare l’impianto sviluppato da ideatori, produttori e conduttori. Quindi fanno continuamente l’andirivieni tra situazioni singole e generali alternandosi tra il classico colpo alla botte e quello al cerchio.
Secondo l’idea del “pensiero acrobatico” di cui si è già parlato in passato, la tendenza nelle relazioni dovrebbe essere quella di andare oltre la regola rigida evitando di rimanere ingabbiati in essa; così facendo si è più disponibili a trovare soluzioni alternative, a scendere a compromessi con il nostro interlocutore, considerando anche il punto di vista altrui. Cosa che invece non capita in questi programmi televisivi in cui pensiero narrativo e pensiero logico restano disgiunti e quindi manca anche quell’idea e quella possibilità del confronto. La tendenza è quella di mostrare, dar voce solo agli aspetti più negativi della narrazione: autodifesa costante e massiccia, fissazione incontestabile sulle proprie idee e posizioni, ripetizione stereotipata del proprio punto di vista, insomma una rigidità assurda ed inutile che probabilmente nella realtà non esiste neanche, anche perché chi volesse dirimere una situazione dovrebbe considerare l’apertura al confronto che invece non caratterizza quest’ambito, forse perché l’assenza del conflitto non attirerebbe pubblico e di conseguenza sponsor.

In ultima analisi è necessario soffermarsi sui dati di ascolto: certe modalità di fare televisione, certi format hanno uno seguito ed attirano gli spettatori. Ora viene da chiedersi se sia più legato a qualcosa che ormai è sfuggito di mano o ad una difficoltà della platea di pensare in modo logico e decentrato, incapace di riuscire a mettere in atto forme di ragionamento più mature e complesse.
Nel caso ci si trovasse di fronte a questa seconda possibilità sarebbe necessario cercare di agire contro queste forme di ragionamento che minano non solo il singolo ma le modalità relazionali di intere società.

Per approfondire:
S. Bonino “Il pensiero ferito” in Psicologia Contemporanea, Mag-Giu 2000, 159, Giunti, pp. 12-13

© Dott. Pasquale Saviano
Psicologo – Psicoterapeuta