Se fai la vittima mi fai soffrire

vittima

Nelle relazioni affettive si sta diffondendo un comportamento molto pericoloso per la coppia: il vittimismo.

Chi fa la vittima esplicita al proprio partner il suo dolore in modo diretto per trarne un beneficio. Quasi sempre questo atteggiamento non è consapevole, è il risultato della risposta del partner. La vittima accende l’attenzione della persona a cui si rivolge e le attenzioni ricevute la gratificano. Implicitamente impara che quel comportamento è il modo giusto per essere badata e addirittura accudita.

 

Perché fare la vittima e aspettarsi di essere aiutati è sbagliato

Fare la vittima significa esplicitare il proprio dolore. Però il dolore è qualcosa di molto intimo, normalmente le persone lo nascondono.

Tuttavia, nell’intimità della coppia è normale condividere con il proprio partner anche i dettagli più intimi della propria vita, e il dolore rientra tra questi. Quindi, la vittima si sente legittimata a rovesciare addosso al proprio compagno o compagna la propria sofferenza emotiva. Ovviamente si aspetta di essere ascoltata, aiutata, accudita e compresa.

Troppe volte le aspettative vengono infrante perché quando racconta il suo dolore va a sbattere contro un muro.

In quel caso la vittima pensa che il suo partner sia inadatto, insensibile e concentrato solo di sé. Incapace di darle quel supporto di cui ha tanto bisogno.

Purtroppo non considera una cosa fondamentale. Il dolore è qualcosa di molto intimo e personale. Ognuno reagisce in modo diverso di fronte al dolore degli altri, anche se gli altri sono le persone con cui dividi la vita.

Cosa si prova davanti a una vittima

Davanti a una vittima, cioè davanti al dolore di un altro essere umano, siamo sempre spiazzati.

In modo del tutto naturale, la prima cosa che facciamo è cercare di capire per soffre così tanto. Ma per quanto ci sforziamo non riusciamo mai a entrare nella sua testa e analizziamo le cause della suo dolore in base alla nostra alla realtà così come la percepiamo dal nostro punto di vista.

Molto spesso quello che per qualcuno è un dramma per noi è qualcosa di gestibile, diventa difficile allora giustificare il comportamento della vittima.

Se siamo sufficientemente empatici, partecipiamo al dolore della vittima e quindi cerchiamo di trovare delle soluzioni per placarlo. Anche in questo caso la nostra realtà soggettiva si scontra con la sua con esiti terribili. Perché ridurre il dolore alla ricerca di soluzioni per la vittima significa minimizzarlo. Siccome la richiesta di aiuto non era consapevole, il fatto che l’altro voglia aiutarla la spiazza. Dove la vittima cercava solo uno sfogo emotivo, trova una risposta razionale che nel rapporto la mette in una posizione di debolezza. Allora tira fuori gli artigli.

Spesso le vittime attaccano proprio chi cerca di aiutarle perché improvvisamento vogliono mostrarsi forti.

Dall’altra parte, chi cerca di aiutare la vittima si trova davanti all’impossibilità di agire e addirittura si sente attaccato per aver tentato di dare una mano. L’impotenza crea frustrazione e rabbia.

 

Il dolore va custodito e condiviso con delicatezza

L’ho detto ma lo ripeto ancora una volta, il dolre è qualcosa di intimo e personale che spiazza sempre la persona con cui lo condividi.

La soluzione non è tenerlo dentro, mai. La soluzione è combattere l’istinto di usare il dolore a tuo vantaggio. È molto difficile perché non siamo coscienti di farlo, ma con un po’ di buona volontà si può imparare.

Partiamo dal presupposto che chi soffre mette sempre un a disagio gli altri, anche quando con loro c’è grande intimità. Il primo passo è capirlo. Il secondo è raccontare il proprio dolore solo per il desiderio di condividerlo, sottolineando questo fatto e sottolineando che l’altro non ha nessuna responsabilità in quel momento. Però, visto che lo ami vuoi renderlo partecipe di ogni parte di te. Scusati per questo, perché lo stai mettendo a dura prova, e aspettati una certa dose di freddezza perché non è detto che lui sia preparato ad accogliere il tuo dolore. Nessuno può esserlo.