QUANDO SI DICE CHE UN ATLETA È COMPLETO

“Le difficoltà rafforzano la mente 

come la fatica rafforza il corpo”

Seneca

Gli atleti lo sanno che la loro mente è più forte del corpo: per questo se cadono e si rompono qualcosa, tentano comunque di rialzarsi.

Fin da bambini fanno una vita che non ha nulla a che fare con la quotidianità dei coetanei: stando con loro si sentono nel posto sbagliato se stanno con loro e si sentono dire che sono sbagliati perché mettono davanti a tutto le proprie passioni. Sono persone controcorrente, infatti la via per i sogni non è mai diritta, non ha neanche un senso! La via dei sogni non ha regole, né indicazioni, come la via del cuore. Quando una persona s’innamora di uno sport non pensa: “avrò freddo, farò fatica, guadagnerò poco e proverò dolore”, semplicemente si sente perfettamente in linea con ciò che sta facendo quindi lo fa e basta.

Le scelte fatte con passione sono un tipico esempio del “pensare poco, ma bene anziché molto e male”. 

Mi occupo di studiare prevalentemente atleti professionisti e noto una grande differenza tra questa categoria di persone e la popolazione generale, sia che si tratti di pazienti con psicopatologie, sia che rientrino in uno stato di piena salute mentale.

Gli atleti si descrivono testardi, il che secondo me ha una valenza positiva in quanto riguarda l’essere coerenti con sé stessi, senza per questo calpestare gli altri. Lo sport, in quanto maestro di vita, insegna infatti anche il rispetto per il prossimo, la cooperazione e la convivenza con i propri simili.

Sappiamo però che la vita è complicata per tutti e che, sopra o sotto soglia, ciascuno manifesta determinate difficoltà: nessuno è perfetto. Gli sportivi professionisti possono infatti avere il deficit d’attenzione e iperattività, disturbi di personalità o sintomi depressivi e ansiosi proprio come il resto della popolazione generale, per non parlare delle difficoltà connesse agli infortuni o al momento più arduo che è il fine carriera. Quando un atleta abbandona il proprio sport, ossia la propria vita ideale, deve andare in contro a una ridefinizione dell’identità, oltre che a un capovolgimento della propria vita, per questo motivo è importantissimo trovare le energie utili affinché si possa riadattare a una nuova e piacevole strada.

I dati ci dicono che circa 1 persona su 10 nell’arco della sua esistenza va in contro a un episodio depressivo, mentre 1 su 5 ha o ha avuto almeno un disturbo d’ansia; è comprensibile quindi che la figura più adatta a seguire a 360 gradi un atleta sia un professionista della salute mentale con solide basi scientifiche e un adeguato percorso di studi. Un atleta professionista, per definizione, è già ricco di risorse personali, per questo motivo un mental coach, che abbia la laurea in psicologia o un corso breve di qualche mese, può essere comunque in qualche modo utile, ma sicuramente il lavoro completo può essere fatto meglio da chi ha anche competenze dell’approccio cognitivo-comportamentale in quanto lo sport è mente e azione.

La propria strada è troppo preziosa per camminare altrove.

Dott.ssa Mariapia Ghedina


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