PROGRAMMI FEDELTÀ ED ASPETTI PSICOGICI

Sul finire del 1700 alcuni negozianti capirono che per attirare più clienti presso le proprie botteghe dovevano offrire loro degli incentivi. Pensarono quindi di offrire una certa quantità di prodotto in più ogni tot di prodotto acquistato. Nacque la cosiddetta ratio 10:1 cioè con l’acquisto di un’elevata quantità di prodotto se ne otteneva una piccola quantità dello stesso o diversa in regalo. Ciò portava ad un aumento di acquisto per chi trovava conveniente il risparmio ottenuto, ma sul lungo periodo ciò era oneroso per il cliente che doveva investire grosse somme di denaro per acquistare grandi quantità di prodotto ed averne in regalo un’altra piccola quantità, con il rischio di veder vanificato l’acquisto in caso di grosse quantità di alimenti soggette a scadenza.

Così nel 1793 si pensò di regalare “qualcosa” agli acquirenti che dimostravano fedeltà verso il negozio. Si trattava di monete di rame che collezionate potevano essere usate per riscattare merci nel negozio; nacque la prima raccolta punti che portava ad un vantaggio sul medio/lungo periodo se si aderiva alle regole del negoziante.
Nel corso degli anni sono state quasi infinite le campagne di raccolta punti che hanno invaso il globo e tutte miravano ad una sola cosa: la fidelizzazione del cliente che per ricevere un “premio”, uno sconto o partecipare ad un concorso per l’agognato premio spesso si trovava e si trova ad acquistare più di quanto realmente necessiti.

Infatti la fedeltà del consumatore (loyalty) è uno dei pilastri del marketing. Una forma di Gamification; ossia la contaminazione tra gaming e vita quotidiana per promuovere la fidelizzazione di un utente ad un brand o punto vendita mediante conferimento di extrinsic motivations o più banalmente premi. L’evoluzione del gamification ad opera di game designer ha generato livelli sempre più alti ed attraenti nel gaming, ulteriori layer come: strutture livelli, boss di fine livello, benefici psicologici ed altro ancora per attirare noi partecipanti ed invogliare chi già partecipa ai programmi ad aspirare a qualcosa di sempre più “alto” ed “importante” per il miglioramento dello status quo.

Tutto ciò ci porta a porci una domanda: “Quante certezze abbiamo nella vita?”, oltre a quelle scontate, famiglia, morte e tante altre, una su tutte potrebbe rappresentare la certezza massima: le raccolte punti. Tutti nella vita almeno una volta ci siamo approcciati a questo sistema di fidelizzazione; o perché ne siamo fortemente dipendenti o per avere uno sconto (a volte irrisorio) su un prodotto che dovevamo acquistare o semplicemente perché abbiamo dovuto rifiutare la richiesta di un promoter o di un commesso che ci chiedeva: “ce l’ha la tessera? La facciamo? È gratuita e le dà tanti vantaggi!”. C’è una tessera o una raccolta per tutto, i portafogli (oggi anche gli smartphone) sono pieni di tessere plastificate che ci permettono di aderire ad un qualche programma di sconti o raccolte punti, tanto che in alcuni casi più programmi si sovrappongono dallo stesso esercente portandoci ad estrarre almeno due tesserine (più il bancomat) all’atto del pagamento.

Siamo sommersi da tessere e raccolte punti, una dipendenza a volte, da cui è difficile venir fuori.
I risvolti psicologici alla base di un programma di loyalty sono abbastanza chiari: l’appartenenza ad un gruppo, la possibilità del premio (a cui il bambino dentro di noi aspira sempre), la possibilità di raggiungere degli obiettivi collezionando punti (una bella botta di autostima!), inoltre il cliente sentirà che i suoi soldi sono stati ben investiti (nella raccolta punti ovviamente) e tornerà in quel negozio. Le campagne di loyalty sfruttano lo schema fisso del regalo-obbligo. Si tratta di un meccanismo inconscio basato sulla nostra esperienza sociale o culturale per cui quando sappiamo di ricevere un regalo ci sentiamo in obbligo di ricambiare; capovolgendo il concetto se sappiamo che c’è un regalo per noi (che verrà dopo) ci sentiamo obbligati a ricambiare andando ad acquistare da quell’esercente o quel tipo di prodotto. Inoltre il semplice fatto di aver raccolto dei punti che altrimenti andrebbero sprecati ci porta a tornare nello stesso store pur di non perderli.

La motivazione che sta alla base dell’adesione ad una raccolta punti potrebbe essere quella di sentirsi “importante” per il brand o per il negozio, che attraverso quella piccola tesserina ci fa sentire parte di una famiglia, riservandoci dei premi, inviandoci delle offerte via e-mail (spam) o semplicemente ringraziandoci per essere loro clienti.

Infatti le “ricompense” per il cliente che dei programmi di loyalty sono caratterizzate da una loro vicinanza alle sue esigenze (sconti, offerte personalizzate, regali “utili”). La tecnica delle ricompense, infatti, nota alle aziende porta ad un enorme coinvolgimento emotivo dei clienti nei confronti di un brand. Tutto nasce dallo psicologo americano Hull che nel 1934 con un esperimento eseguito sui topi e poi adattato gli esseri umani ipotizzò che gli animali tendono ad aumentare l’impegno per un determinato compito man mano che si avvicinano all’obiettivo finale. Lo stesso vale per gli esseri umani che hanno la tendenza ad acquistare di più man mano che si avvicinano alla fine del programma (ecco perché a volte vengono regalati dei punti, proprio per invogliare il cliente a proseguire). Con un incentivo o una spinta iniziale quindi si crea una sorta di illusione di progresso condizionando il comportamento del consumatore e spingendolo a completare più velocemente il programma.

Esistono alcuni meccanismi di ricompensa alla base della risposta dei clienti ai programmi fedeltà. Essi sono basati sull’attivazione dei circuiti dopaminergici che regolano il senso di benessere nelle esperienze che viviamo. Questi circuiti interrelati tra di loro e con le aree decisionali del nostro cervello ci “orientano” verso la scelta di prodotti, marchi o store che ci premieranno e che quindi ci daranno un maggiore senso di soddisfazione nell’acquisto. La correlazione di questi processi mentali oltre che ai bisogni primari (cibo, sesso, sonno, ecc.) è anche relativa ai bisogni secondari, come quello di gratificazione, riconoscimento sociale, approvazione, benessere soggettivo.
Nelle tecniche di neuromarketing molti sono gli aspetti che si prendono in considerazione per lo sviluppo di campagne pubblicitarie, sviluppo di programmi fedeltà, ecc., tra cui il comportamento implicito del consumatore che ha a che fare con un’enormità di processi inconsci, come la valutazione implicita delle alternative. Infatti quando siamo di fronte a più opzioni metteremo in atto una serie di valutazioni cognitive facilmente influenzabili attraverso la pubblicità per cui la scelta sarà quella che ci gratificherà maggiormente. Ma sarà quella realmente giusta per noi?

© Dott. Pasquale Saviano
Psicologo – Psicoterapeuta