Come vive una quarantena un paziente psichiatrico in comunità?

Ci pensate mai alle persone a cui tanti, purtroppo, non prestano molta attenzione, un po’ per pigrizia, un po’ per non-conoscenza, un po’ per stigma sociale? Sto parlando dei pazienti psichiatrici. In questo clima assurdo, che tutta la popolazione sta vivendo, molti di noi, considerate persone “sane”, si sono trovate a fare i conti con loro stesse, ad analizzarsi, a conoscersi, ad ascoltarsi. E questo significa spesso fare i conti con la solitudine, perché (quarantena a parte) se ci si vuole conoscere davvero, bisogna concedersi del tempo da soli. Ebbene, quello che stanno vivendo i pazienti psichiatrici è proprio questo, ma immaginatelo amplificato di dieci volte.
Ovvero:
Immaginate di trovarvi per lavoro in una comunità che ha lo scopo di riabilitare dei pazienti con disturbi psichiatrici, cioè di trasformare le difficoltà presenti in ognuno di loro, che discendono dal fatto di convivere con la malattia, in abilità che possa farli vivere in una condizione più “normale” possibile. E parlo di cose piccole, comuni, quotidiane, ma per loro essenziali: fare la spesa, socializzare, essere autonomi nel maggior numero di commissioni possibili.


Ora la questione è: come fai a far accettare e condividere a pieno una quarantena ad un paziente di questo tipo, dopo che hai trascorso l’anno a lavorare per ottenere esattamente il contrario? E tutte le restrizioni sono assolutamente necessarie, d’accordissimo! Infatti questa non vuole essere una polemica, ma piuttosto una riflessione visto che di tempo per riflettere ora ne abbiamo molto. Pensiamo a una persona che già per la malattia si trova a dover affrontare un percorso riabilitativo in una comunità psichiatrica e che all’improvviso non può vedere nemmeno i propri famigliari o amici, e per i quali le restrizioni che viviamo noi tutti i giorni e che sembrano farci mancare l’aria, per loro possono risultare insormontabili. Possono amplificarsi i sintomi di persecuzione, i deliri, i sintomi depressivi, e via dicendo. Se questo in qualche modo vi tocca, la prossima volta che si guarderà con disprezzo un paziente psichiatrico alla fermata di un autobus o in fila al supermercato o in fila alla posta, ricordatevi anche della sofferenza che c’è stata e del successo che ha raggiunto per ritornare di nuovo ad essere a quella fermata di un autobus, in fila a quel supermercato o in fila in quella posta.
Mi raccomando, poi fate la vostra scelta comunque, ma ricordatevi di questo.
E lasciate che loro vi insegnino qualcosa perché, forse, si conoscono più di quanto riusciamo a fare “noi altri”.