Essere adolescenti oggi: tra precarietà e salute mentale

“Garzoncello scherzoso,
Cotesta età fiorita
E’ come un giorno d’allegrezza pieno,
Giorno chiaro, sereno,
Che precorre alla festa di tua vita.
Godi, fanciullo mio; stato soave,
Stagion lieta è cotesta.
Altro dirti non vo’; ma la tua festa
Ch’anco tardi a venir non ti sia grave.” 

(G. Leopardi, Il sabato del villaggio)

Così Leopardi, attraverso Il sabato del villaggio, descrive la fanciullezza come un periodo di trepidante attesa, un giorno chiaro e sereno che precorre alla maturità dell’età adulta. Il poeta invita il suo giovane interlocutore a godere di questa attesa, considerando la speranza di un futuro di gioia l’unico piacere assaporabile dall’umano; domani, cioè nell’età adulta, così come alla domenica, “tristezza e noia Recheran l’ore”.

Lavorando con pazienti adolescenti partire da questa riflessione è fondamentale. Le proiezioni redatte dall’OMS e già evidenziate nel 2002 dal progetto PRISMA hanno messo in luce un aumento vertiginoso di problematiche relative alla salute mentale degli adolescenti. Ma al di là dei numeri è utile comprendere quali siano i temi principali sui quali si gioca la partita della salute degli adolescenti di oggi.

Il tema problematizzato da questo articolo riguarda l’incertezza del futuro. La crisi economica ha portato con sè, oltre all’incertezza lavorativa, una precarietà logorante relativa al futuro. Così, la visione classica dell’adolescenza come una sorta di periodo di “incubazione”, nel quale si costruisce l’adulto che verrà, dove si sperimentano le prime interazioni con sentimenti più profondi, crisi costruttive e tensioni epistemofiliche, lascia spazio anche ad altri pensieri ben più “adulti”. Lavorando in Comunità per condotte tossicodipendenti mi è capitato di vedere adolescenti logori che, al di là della sostanza, si sono caricati di pesi altrui, di preoccupazioni decisamente adulte, spesso precipitate in inversioni di ruolo con i propri genitori.

Della visione classica una verità rimane: se l’adolescenza è periodo di “incubazione” e viene occupata da pensieri e problematiche adulte, lo spazio di prova, la “palestra emotiva” che l’adolescenza dovrebbe rappresentare, non trova più spazio. Osserviamo quindi quadri di gravi difficoltà nella gestione delle emozioni, vissute spesso come attivazioni fisiologiche da “scaricare” in comportamenti impulsivi o nell’uso di sostanze: le emozioni sono qualcosa di sconosciuto e irriconoscibile, troppo pericolose e sinistre per perturbare la quiete di un sistema già precario.

Assistiamo così a ventenni che hanno fatto e possono rifare tranquillamente una rapina a mano armata, ma che si avvicinano in maniera diffidente e un tantino spaventata all’idea di poter stringere una relazione, di poter fare i conti con parti di sé che non erano state mai considerate in precedenza, di poter costruire, sulla base della fragile e fisica emotività che hanno, la catena di significato e senso che rende l’emozione un’esperienza più adulta.

 

(Emil Nolde, Reclining female nude)

L’altro lato della medaglia può essere il ritiro. C’è chi, sentendo di non avere la possibilità di costruire le fondamenta per un funzionamento psichico adulto, decide di rinunciare: una rinuncia alla vita, all’esperienza, filtrando il mondo da un balcone lontano da tutto e da tutti. Oltre alle estreme condizioni diagnosticate come vere e proprie depressioni o situazioni psicotiche (spesso accompagnate dall’abuso di sostanze) e all’emblematico caso degli Hikikomori, occorre anche guardare alla miriade di casi definiti dal senso comune “bambinoni”. Oltre alle evidenti difficoltà economiche che possono costringere un giovane a rimanere all’interno del nucleo familiare, si assiste spesso a una mancanza di volontà, da parte del giovane, di modificare tale situazione.

Questa condizione tratteggia un’evidenza di fragilità, di mancanza di strumenti per affacciarsi a un mondo che viene esperito come crudele, dominato dalla logica della prestazione e drammaticamente incerto. L’adolescente rischia di finire in una spirale nella quale viene riconfermata ogni giorno la sua convinzione di non essere mai all’altezza, di non fare mai abbastanza, per cui l’unica soluzione pare essere la rinuncia. L’abuso di sostanze (tra le quali anche psicofarmaci) può diventare un’unica modalità per silenziare le pressioni di un mondo esterno che l’adolescente non regge, attraverso un profilo falso, prestante e apparentemente pronto a rispondere alle incessanti richieste del mondo.

 

(Emile Nolde, La Ballerina)

L’adolescenza resta una delle età più difficili e la precarietà che il nostro tempo offre può risultare un problema vero. È essenziale che i servizi di salute mentale e le politiche pubbliche si muovano nella direzione dell’ascolto di bisogni che, troppo spesso, restano inespressi e senza risposta.