Amore: ragione cerebrale o sentimento universale?

Ti guardavo da un po’ di tempo e tu mi fissavi a stento, dietro i tuoi occhiali spessi, con uno sguardo privo di espressione, come se tu fossi nettamente superiore alla mia apparenza, come, a dire il vero, se della mia apparenza non te ne importasse un accidente, perché, magari, in realtà non fissavi nemmeno me, ma solo quello che avevo da dirti e che, balbettante, pronunciavo con gran fatica.

L’amore lascia i segni, l’amore non capisci nemmeno se sia amore, tu lo chiami amore, ma non è amore, magari solo un sentimento qualunque, un’idealizzazione passeggera, un momento di panico, un capriccio insolente, un’alterazione cerebrale, un nodo alla gola, il petto pieno di respiro che non può essere tollerato, ma nemmeno emesso in superficie: sì, l’amore fa rischiare di morire soffocati.
Se qualcuno avesse esaminato il mio cervello, in quel momento, avrebbe sicuramente trovato una massiccia attività delle cellule ApEn dell’area tegmentale ventrale, atte a produrre dopamina, uno stimolante naturale e a diffonderlo in vaste aree cerebrali. Quest’area è associata con la concentrazione, la motivazione e il desiderio: si attiva quando un soggetto ha estremo bisogno della sua dose di cocaina. E, per un tempo che ora non so definire, sei stato la mia ossessione.

Credevo d’amarti, perché ero dipendente dalla tua immagine, credevo di volerti, solo perché il pensiero di te aveva preso ogni singolo barlume della mia razionalità, volevo possederti, quando l’unico oggetto ad essere in possesso ero proprio io, per la troppa bramosia di emulare uno sguardo che in realtà non ho mai saputo (e voluto) decifrare. A guardarti mi veniva il magone e, sono certa, un grande sforzo del mio nucleus accumbens, che si attiva nel momento in cui calcoli i tuoi guadagni e le tue perdite, perché avrei corso ogni sorta di rischio, per avvicinarmi al fuoco, per accarezzare la mia ossessione, al fine di ottenere la mia ricompensa d’amore: la tua approvazione.

Vincere o perdere sono solo alla base di un impulso biologico, di un’urgenza, uno squilibrio omeostatico, una dipendenza che può rivelarsi solo un bluff, se tutta la tua corteccia cerebrale è indirizzata su un’unica persona e non sulla tua realtà. Sicuramente non è un’illusione e nemmeno una banalità: l’amore, in realtà, non rovina nessuno. Dopo anni alcune persone continuano ancora ad avere le stesse aree attive e lo stesso pensiero per quel paio d’occhi, che mai hanno dimenticato. Molto del nostro passato ce lo portiamo dietro, nella formazione della nostra conoscenza, si insinua nel nostro cervello e lo convince a dirigersi in certe situazioni piuttosto che in altre: perché il passato insegna anche a prendere alcune direzioni e ad evitare bivi, se già attraversati.

E allora io non posso far altro che ringraziarti e dirti che non ti porto nel cuore, perché il cuore non mi appartiene, che non sei un nodo alla gola, che non sei una voragine e che non mi hai lasciato un vuoto da colmare: io ti porto nel mio cervello. Perché mi hai dato la motivazione giusta per sconfiggere i miei limiti, sostenere uno sguardo accusatorio e dare tutta me stessa, anche davanti alle difficoltà.
E perché, probabilmente, se qualcuno esaminasse il mio cervello, fra vent’anni, al semplice suono del tuo nome, troverebbe l’area tegmentale ventrale attiva e il mio volto completamente viola, per la vergogna d’averti pensato.

Ancora.

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Dott.ssa Valentina Massaroni Psicologa (num. iscrizione Ordine del Lazio 23559)
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COME NON ROVINARE UNA STORIA D’AMORE