Psicologia del lamento: tra lamentosi e lamentele

lamentela

A volte ci imbattiamo in alcune persone che si lamentano continuamente di ogni cosa che gli accade o che fa parte del contesto in cui vivono.

In queste conversazioni, il lamento ha un preciso scopo psicologico: mira cioè a chiederci implicitamente aiuto, come se noi dovessimo o potessimo fare qualcosa per salvare i nostri amici o conoscenti dalle situazioni che li fanno sentire impastati e soffocati.

Il lamento però va distino in due tipi:

1) un conto è il lamento da parte di qualcuno che racconta “obiettivamente” ciò che gli accade con l’intento di condividere le proprie sventure con vari toni (tristi, arrabbiati, ironici, di protesta);  in questo caso, lamentarsi equivale a parlare delle proprie difficoltà in uno scambio da cui possono nascere soluzioni alterative.

2) Un altro conto è il lamento denso di supplica, quello che assume il connotati di lamentela, come se l’interlocutore ne fosse in qualche modo coinvolto o fosse addirittura imputabile di esserne la causa. In questo caso, lamentarsi corrisponde a perdita di tempo, ricerca di passività e attesa di nuove sventure.

Ecco che in queste conversazioni lamentose, l’interlocutore dopo un po’ si sente in colpa per via della sua impotenza nell’aiutare l’amico.

Improvvisamente, l’interlocutore (che raccoglie le lamentele dell’amico) sente addosso a sé tutte le frustrazioni, la pesantezza, il senso di solitudine o di vuoto che il lamentoso gli sta inconsciamente rivolgendo. Diventa quindi parte in causa e quasi coprotagonista dei guai dell’altro. Chi ascolta le lamentele avverte l’implicita manipolazione del lamentoso!

Psicologia del lamentoso

Il lamentoso è spesso suggestionabile e suggestionato da un passato fatto di esperienze con persone lamentose che sembravano “ingraziarsi gli dei” mostrando di soffrire più del necessario, in modo da ottenere una simbolica “grazia”: insistendo con il lamento, speravano che uno sconto di pena sarebbe intervenuto in loro favore.

In alcuni casi, tale apprendimento implicito e inconsapevole (l’aver vissuto cioè a contatto con persone lamentose) autorizza il futuro lamentoso a scocciare l’altro sino all’inverosimile, al punto che niente può convincerlo a desistere dal lamentarsi.

Il lamentoso si sente di solo, sfigato, non considerato a sufficienza: ha avuto una madre che gli ha promesso molto, ma poi la vita lo ha deluso, perché quelle promesse sono state deluse dalla dura realtà.

Il lamentoso è rimasto quindi egocentrico e manipolativo. In realtà, egli prova poco rispetto per gli altri, altri che sì ringrazia in quel preciso momento di appagamento per essere stato ascoltato, ma che poi dimentica. Si dimentica che gli altri – i suoi interlocutori – esistono come persone in quanto tali, per poi ricordarsene quando torna a sfogarsi profusamente.

In poche parole, i lamentosi non sanno mettersi nei panni degli altri.

I motivi psicologici del lamento

Chi ha fatto del lamento la propria la modalità comunicativa principale, la vita dovrebbe solo appagare: se invece si rivela deludente o persecutoria, ecco che il lamentoso si arrabbia e protesta all’infinito con chi gli è vicino in quel momento, chiunque egli fosse.

Lamentarsi abitua i lamentosi a trovare un modello attraverso il quale si percepiscono in uno stato di vittima, come se il mondo li perseguitasse e questo diventa un leit motiv esistenziale.

Veri problemi o sceneggiate?

Quanto il lamentoso, seppur inconsciamente, sta facendo teatro delle proprie disgrazie?

In realtà, i lamentosi allontanano le persone da sé e tutto s’irrigidisce intorno a loro.

Naturalmente si capisce che sentirsi perseguitati senza un’oggettiva ragione immobilizza lo stesso lamentoso che ripete gli stessi schemi all’infinito finché gli altri gradatamente si allontanano.

Per il lamentoso, ormai divenuto cronico, la vita sfugge dalle sue stesse mani. E, come tutti coloro che si sentono perseguitati senza ragione, lo scopo di vivere svanisce perché non il lamento stesso non gli permette più di dirigere la vita, ma solo di subirla.

Il soggetto lamentoso non è più virtualmente protagonista della propria vita, non possiede più le redini del suo cavallo, ma è costretto a lasciarsi vivere!

In altre parole, il lamentoso non ha più una visione oggettiva delle cose, ma rimane un po’ bambino evocante una madre che lo dovrebbe salvare da ogni difficoltà e contro la quale può protestare se non è gratificato da qualcosa che invece lo delude.

Invece di giocare, seppur seriamente con le cose del mondo, si lascia schiacciare inesorabilmente dagli eventi.

Che cosa vuol dire il lamento dal punto di vista psicologico

Il lamento è indice di bisogno psicologico urgente e mai di desiderio: in una psiche adulta, quest’ultimo dovrebbe essere sempre anteposto al bisogno infantile, salvo naturalmente eccezioni di casi, come la precarietà di salute e altre effettive disgrazie.

Se riconosci una persona lamentosa o se ti riconosci tu stesso, la domanda utile sarebbe la seguente: cosa posso fare per migliorare la mia situazione?

Come posso diventare protagonista attivo della mia vita? Come posso vedere ciò che mi appare negativo in meno peggiore di quel che sembra?

 

Roberto Pani
Psicoanalista e Psicologo a Bologna, Professore all’Alma Mater Studiorum, Scuola di Psicologia dell’Università di Bologna.
Ha insegnato Psicologia ClinicaPsicopatologia dello Sviluppo e Patologia del Comportamento AdultoPsicoterapia breve, Teorie e Tecniche del primo Colloquio, Teorie del Comportamento Dipendente.

Sito internet: Robertopani.com