QUANDO LA PSICOSI MINA L’ASSETTO FAMILIARE

La psicosi rappresenta la malattia mentale per definizione. Il disturbo psicotico si configura in maniera tale da creare una personalità che è in grado di scindere totalmente l’individuo dalla realtà comune. In un grado minimo il disturbo va ad influire solo sul carattere, ma se non adeguatamente curato, con farmaci e psicoterapia, può arrivare a generare deliri ed allucinazioni assolutamente ingestibili.

Quando un disturbo del genere colpisce una madre di famiglia, i problemi possono ripercuotersi su marito e figli incapaci di gestire la donna nella sua quotidianità. Se poi, nello specifico si tratta del Disturbo Antisociale di Personalità, un disturbo poco diffuso ma caratterizzato da momenti di follia associati ad una persona caotica, insensibile e indifferente alle sofferenze altrui, con comportamenti sgradevoli e brutali nei confronti di chiunque, ci rendiamo conto che è ancora più difficile per i familiari gestire un congiunto, tanto più se si tratta della “donna di casa”, il punto centrale della vita e del benessere di una famiglia.

Questo tipo di patologia porta spesso i congiunti a viverlo come qualcosa da tenere nascosto perché la società non lo accetta e tenderebbe a stigmatizzare non solo chi ne soffre, ma anche i familiari che non fanno nulla per risolverlo in modo definitivo. Il circolo vizioso in cui cade l’intera famiglia è a metà tra il vergognarsi della madre e il cercare di difenderla/proteggerla a prescindere dalle sue qualità morali, per il benessere della famiglia, si tende, insomma, ad accettarla nonostante le sue anormalità.

I figli, in questo caso, sacrificano il proprio benessere e la propria autostima, necessari alla crescita a vantaggio di una sottomissione, finiscono a scegliere il proprio danno piuttosto che l’esilio o l’allontanamento di colei che dovrebbe fornire fiducia e supporto nel progresso della vita, anche perché si rendono più o meno consapevoli del fatto che non riusciranno mai a “crescere normalmente”, ci sarà sempre qualcuno che minaccerà costantemente i propri progressi, in un modo o nell’altro. Si generano così personalità tendenti all’autoesclusione, all’emarginazione, alla depressione. Allo stesso modo, il marito, se non scappa, lasciando tutto e tutti perché incapace di gestire la situazione, si vedrà come il responsabile di un fallimento nei confronti di moglie e famiglia, rassegnandosi allo stato delle cose fino a lasciarsi sottomettere dall’impeto malato della moglie scegliendo uno stato reattivo caratterizzato da depressione piuttosto che dal costante tentativo di risoluzione del problema.

Spesso ci troviamo di fronte ad una donna che ha rimosso gli innumerevoli traumi subìti nel suo passato che ora non riesce a gestire i propri comportamenti e riversa tutto il suo malessere su una famiglia che, a sua volta, non riesce a gestirla. Poiché spesso non riconosce se stessa come malata, tendendo a nascondere o addirittura a non vedere la propria patologia che può sfociare in alcolismo o sessualità ambigua, è innanzitutto necessario che venga aiutata nel riconoscere. La stessa famiglia deve essere guidata e supportata ad agire su questa persona, indirizzandola e spingendola alla cura. Alla famiglia gioverà dunque sottoporsi ad un percorso che ne faciliti le relazioni riportando su un piano di “normalità” ciò che ormai non lo è più.

© Dott. Pasquale Saviano
Psicologo – Psicoterapeuta