LA TRAPPOLA DELLA PAURA – #ACTFORPARIS

Un noto premio nobel insegna che la difficoltà non sta nel trovare nuove idee bensì nello sfuggire da quelle vecchie.

Una vecchia idea è che dopo l’ondata di terrorismo, cioè dopo gli eventi di Parigi, gli psicologi debbano occuparsi del trauma. Quando ho ideato #actforparis, la taskforce al servizio degli italiani intrappolati dalla paura legata al terrorismo, lo ho fatto invece superando il concetto di trauma, andando oltre, estendendo la portata degli eventi, valutando i loro effetti sistemici e rendendo quindi il progetto e il relativo intervento più sistemico, più strategico e perciò di più generale utilità.

Comprendere questo vuol dire comprendere la differenza, troppo spesso dimenticata, tra ciò che urgente e ciò che è importante. 

Il trauma rappresenta l’urgenza e riguarda le persone direttamente coinvolte, ma è la paura ad essere più importante, perchè essa dilaga, dilaga, indipendentemente dal diretto coinvolgimento, ed è potenzialmente capace di bloccare una intera società.

Chi non capisce questo, tra i politici tra i militari tra gli psicologi tra gli strateghi, è semplicemente uno sciocco.

La vittoria sulla paura rappresenta il problema realmente importante sul quale lavorare, quale elemento cardine e cruciale nella moderna lotta al terrorismo. È questo, dunque, il punto sensibile, la leva strategica, che se ben curata produce utili effetti producendo circoli virtuosi, se invece abbandonata a se stessa (anche in quanto presi da tutte le urgenze) diventa il punto debole, l’anello che spezza la catena, la vittoria psicologica del terrorismo sulla comunità.

Anche tra gli psicologi, purtroppo, si tende a concentrarsi solo sul trauma e sul suo superamento, e quando questo succede c’è evidentemente una incapacità, da parte del professionista, di strutturare i problemi ad un livello sistemico, strategico e operativo  superiore.

È sciocco dunque colui che sottovaluta il vero e più importante problema: la paura.

E la paura non ha alcun bisogno di fatti oggettivi, come un trauma, a cui attaccarsi. Questa irrazionale e atavica percezione umana si impossessa della mente, a volte in modo dirompente, in un istante, altre volte come percezione sottile, che diventa via via predominante.

Anzi, pensateci. Chi ha vissuto un trauma ha diritto di soffrire, ha diritto ad essere curato, aiutato, ha tutti i diritti per tutto,  e riesce a farsene una ragione (i nostri colleghi francesi hanno una forte scuola di psicotraumatologia e pertanto non hanno, da questo punto di vista particolare e circoscritto, bisogno del nostro aiuto). Ma chi non ha vissuto il trauma, come fa costui a farsi una ragione della sua paura, del suo essere sempre più bloccato?

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Quando, dunque, ho ideato #actforparis, insieme allo staff di questo sito, l’obiettivo era, ed è rimasto, aiutare l’Europa ad evitare quello che in questo momento è il più grande rischio per tutti:  mettere la benzina nella macchina della paura.

E qual’è il miglior carburante per la paura? l’evitamento.

Per descriverlo vorrei riprendere ed estendere le parole utilizzate nelle interviste concesse in questo periodo, e per le quali ringrazio in particolare il Corriere della Sera e The Post Internazionale.

Il rischio, che è purtroppo ormai più che un rischio nonostante il nostro intervento immediato,è che si cada, poco a poco, in un circolo vizioso di evitamenti, dove l’evitamento in un primo momento consola e permette di sentirsi al sicuro, ma a livello sociale non fa altro che perpetuarsi e confermare la paura, che diventa terrore. Così la gente inizierà a evitare di andare in quella città, in quel quartiere, a quel concerto, in quello stadio. I genitori diventeranno iper-protettivi, estremizzando le cautele fino a travalicare il confine con la paranoia. Il rischio di una paralisi sociale è sensibile

Il paradosso della sicurezza è che più la cerchi più ti senti in pericolo. Se inizi a evitare tutte le situazioni che comportano un rischio, scopri che sono molte di più di quelle che immagini. L’evitamento è una strategia che si nutre di se stessa. Eviti quello che temi, in questo modo ti senti al sicuro, ma solo inizialmente, perché ogni evitamento diventa una conferma, ogni evitamento dice: hai fatto bene a evitare, il pericolo è reale. Così il pericolo si sparge a macchia d’olio, finchè non c’è più posto dove sentirti al sicuro. Il terrore si impossessa della mente e non c’è posto al mondo dove ora tu puoi nasconderti, perché – parafrasando un sapiente – dovunque tu vada porti dietro te stesso. Quindi non si tratta solo di aiutare coloro che chiederanno il nostro aiuto, di aiutare i genitori a non cadere nella trappola diventando sempre più iperprotettivi ed ipercontrollanti, di aiutare chi ha vissuto questo trauma direttamente o indirettamente, si tratta di aiutare i paesi a gestire quello che è un elemento strategico centrale della guerra al terrorismo. È il nostro modo di alzarci in piedi e di impugnare le armi, quelle che possono vincere la guerra, non quelle che uccidono le persone.

Voglio che il lettore sappia, a questo punto, che è la paura il nostro vero nemico, e che esiste il modo per uscirne, non dimenticandola o divenendo idioti scellerati ed incoscienti, bensì trasformandola in coraggio.  Il coraggio di vivere la propria vita. Questo è il più nobile e concreto obiettivo che i nostri terapeuti, ed ognuno di noi come esseri umani, debbono porsi nell’aiutare tutti coloro che in questo momento stanno richiedendo il nostro aiuto.

Un caro saluto

Francesco ‘M’ Zurlo

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Francesco ‘M’ Zurlo, psicologo, psicoterapeuta, specialista in terapia breve strategica e padre della psicoluogia, direttore Zurlo Consulting, studio di psicoterapia comunicazione e strategia, Milano – Roma – Crotone