Stupidità funzionale: la qualità ideale per trovare lavoro

La stupidità funzionale è un costrutto teorizzato da Mats Alvesson, professore della “School of Economics and Management” dell’Università di Lund (Svezia) e André Spicer, professore di comportamento organizzativo in un libro intitolato Il paradosso della stupidità.

Il pensiero dei due professori trae origine dai loro studi compiuti in ambito economico e sociale, ma soprattutto all’interno delle aziende. Potremmo riassumerlo in questo modo. La creatività, altresì detta capacità di arrivare a soluzioni inedite o di arrivare a vecchie soluzioni attraverso nuove strade, è sicuramente una qualità apprezzata nelle aziende. Tuttavia è costosa e non tutte le aziende possono permettersela, soprattutto in questo periodo storico. Costa molto perché presenta una buona dose di imprevedibilità, necessita di prove d’errore, non tiene sempre in considerazione le tempistiche e la rigida organizzazione aziendale.

Se la scadenza è vicina, la creatività non è la strada migliore.

Stupidità funzionale

Saper affrontare le pressanti richieste del proprio ambiente di lavoro con precisione acritica è attualmente la skill (per usare un termine tanto caro al mondo delle aziende) più richiesta dai datori di lavoro. Mats e André la chiamano stupidità funzionale ma potremmo anche chiamarla eseguo senza farmi troppe domande.

Come sottolineano gli autori, ci sono persone per le quali un approccio di questo tipo è quasi una prigione. Di fatto è il lavoro sempre uguale a se stesso e ripetitivo metaforizzato in modo sublime da Charlie Chaplin in Tempi Moderni. Solo che oggi non è più il corpo a muoversi per otto ore in un loop infinito di azioni ottimizzate per la produzione. Oggi è il cervello.

Il cervello è capace di pensare all’interno di una rigida cornice di opzioni e di produrre degli output sempre uguali. Come fosse un banale computer. Questo modo di lavorare è molto apprezzato.

Le aziende moderne guardano con timore le nuove idee e sono a loro agio quando adottano schemi rigidi e verticali, fortemente controllati dall’autorità.

 

La paura di quel che non si conosce

Con la crisi il mondo del lavoro è più conservatore. Teme di perdere il poco che gli rimane. Questo discorso astratto trova il suo riflesso concreto nella psicologia dei capi e dei colleghi.

Un capo, di fronte a una nuova idea deve valutare la sua bontà e decidere se promuoverla o bocciarla. Promuoverla significa accettare di poter sbagliare, uscire dalla zona di comfort. Perché una persona a cui mancano cinque anni per la pensione dovrebbe correre il rischio di fare un errore?

Per i colleghi il discorso è diverso. Loro non mettono in gioco la responsabilità della scelta, ma di fronte alle nuove idee temono di dover imparare cose nuove. Sanno fare bene quello che viene attualmente loro richiesto, non hanno nessuno voglia di cambiare le loro abitudini, studiare un nuovo processo e ampliare il loro bagaglio professionale.

O almeno è così che ragiona chi è uno stupido funzionale.

 

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