Legge sullo stalking: si può migliorare?

Rinfreschiamoci la memoria:

Commette il delitto di “atti persecutori” (c.d. stalking) “chiunque, con condotte reiterate, minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita” (art. 612-bis c.p.).

Questo articolo è stato introdotto con il decreto legislativo del 23 febbraio 2009 n. 11, convertito in legge il 23 aprile 2009 n. 38. Tenendo conto che ogni parola va soppesata, che l’articolo appena riportato è “giovane”, che la giurisprudenza si aggiorna di continuo e che ogni modifica ha delle implicazioni sulla fattispecie di reato, la sua configurazione e la messa in atto della pena, si può ragionare su molti aspetti in vista di miglioramenti futuri (anche se la speranza che questo genere di crimini diminuisca è e rimane prioritaria).

L’ansia complica la definizione di stalking

L’aspetto di cui tenere conto è che l’articolo parli di “ansia” e paura. Parlando di ansia e paura si entra nel difficile ambito emotivo. Difficile perché le emozioni hanno modalità di manifestarsi diverso da persona a persona. Le emozioni hanno un “colore” e possono essere misurate con test, colloqui o attraverso la raccolta dei dati psico-sociali e così via. Ma nel caso dell’articolo del codice penale, è il termine “ansia” a implicare una serie di condizioni e conseguenze.

Quando l’ansia diventa patologica, lo spettro che ricopre è abbastanza ampio:  attacchi di panico, disturbo d’ansia generalizzato, disturbo d’ansia acuto, attacchi d’ansia o altri quadri sintomatologicamente rilevanti fino al disturbo post-traumatico da stress. Pertanto senza una diagnosi di ansia, si fa fatica a rendere valida l’applicazione di questo articolo?

Invertendo la questione, o meglio, guardandola da un altro punto di vista: se al posto del termine “ansia” ci fosse “preoccupazione” sarebbe diverso? Se a essere perdurante dovesse essere lo “stato di paura e preoccupazione”, renderebbero la diagnosi eventuale di disturbo dello spettro ansiotico più chiara?

La malattia è anormalità

Qui però c’è da tenere essenzialmente di una considerazione anche di tipo medico: la malattia è anormalità. Lo stato di salute viene a mancare nel momento in cui si altera lo stato di funzionalità della persona. Quindi da uno stato di salute si passa a uno stato di malattia (che può essere sia fisica che mentale), sia se si passa da uno stato di malattia a un aggravamento delle condizioni sintomatologiche preesistenti.

Nel caso dello stalking e degli atti persecutori quindi si dovrebbe passare necessariamente da uno stato di salute a uno stato patologico con una diagnosi specifica? Quindi l’ansia deve essere patologica per avere l’applicazione della pena e validità di fronte a un giudice? Ma se invece da preoccupazione passassimo ad ansia e quindi da uno stato di tensione e preoccupazione passassimo a disturbo d’ansia, alla luce di quanto detto, non si configurerebbe allora anche il reato di lesioni personali in quanto si configura la malattia? Magari lesioni aggravate addirittura?

Da un punto di vista giuridico si passerebbe quindi ad avere una persona accusata di un solo reato a un concorso di reati su cui il giudice è tenuto a calibrare la pena sulla base del caso specifico. Una sola parola quindi avrebbe il peso di modificare l’intero senso di interpretazione giuridica di un articolo del codice penale e delle relative conseguenze giuridiche.

Lo stalking, il fenomeno del femminicidio, le lesioni personali, raccontano e dispiegano lo scenario del fenomeno più ampio della violenza sulle donne. Non si sta dicendo che così com’è “non va bene”. Ma ogni tanto riflettere e ampliare vedute e in ragionamenti più ampi, alimenta la riflessione a livello personale, professionale e civile.

Vista la delicatezza dell’argomento, uno spunto in più non fa mai male.

Ilaria Ometto