SPORT DI SQUADRA E COLLABORAZIONE

Gli sport di squadra portano alla collaborazione, mentre quelli individuali favoriscono rigore e senso di responsabilità. Ma qual è la disciplina giusta per bambini e giovani?

L’inventore del più famoso mantra utilizzato in ambito sportivo è stato il barone de Cubertin con il suo: “l’importante non è vincere, ma partecipare”. Ma cosa avrebbe scelto tra una partita di calcio in squadra ed una sfida da solo a tennis contro qualcun altro?
Le diverse valenze formative che può avere uno sport individuale o di squadra spesso vengono tenute in poca considerazione da chi sceglie un’attività sportiva. Ecco che la scelta dello sport, per i ragazzi e gli adolescenti, è affidata, come è giusto che sia, alle attitudini, alle esigenze, ma anche per seguire gli amici o per imposizioni familiari.

Quando un bambino di 6/7 anni si approccia al mondo dello sport vengono presi in considerazione più i fattori ambientali e sociali che le reali motivazioni personali o interiori. In realtà egli dovrebbe essere messo nella condizione di scegliere la disciplina che più si avvicina ai suoi sogni in quel momento. I genitori dovrebbero descrivere o magari facendogliele provare, le caratteristiche di diverse discipline sportive, favorire una scelta consapevole tra i bisogni fisiologici, cognitivi e sociali oltre che le motivazioni del ragazzo o della ragazza.

Il ruolo dei genitori è molto importante in questa fase, essi dovrebbero focalizzassi sulle attitudini del ragazzo, sulle sue predisposizioni e sulle sue insicurezze che dovrebbero essere il punto di partenza per orientarlo nella scelta. Ovviamente stiamo parlando di orientamento e non di imposizione. Purtroppo invece capita che i genitori decidano il futuro sia scolastico che sportivo dei figli.
Così come molto spesso il bambino o l’adolescente sceglierà uno sport spinto dalla moda del momento o dall’influenza di chi gli sta intorno. In questo caso la tendenza di molti genitori è quella di giustificarlo, ma sarebbe giusto che egli si rende conto di aver commesso un errore di valutazione, ciò anche in un’ottica di crescita ed affinché impari ad accettare le conseguenze di una scelta magari frettolosa. Questo gli servirà a scoprire le proprie debolezze, a mettere in atto strategie riflessive e di problem solving nonché a maturare e lo porterà a fare scelte, non solo in ambito sportivo ma anche di vita, più mature.

Un errore ancora più dannoso è la tendenza da parte di alcuni genitori di spingerlo a cimentarsi nella stessa disciplina praticata in gioventù da un familiare, o addirittura uno sport che papà o mamma avrebbero voluto praticare ma per forza di cose non hanno potuto perseguire, riversando su di lui aspettative e generando frustrazione per una scelta non condivisa o per la mancata riuscita.
Le discipline sportive hanno da sempre caratterizzato il superamento dei propri limiti e l’organizzazione richiama molto quella scolastica. Infatti anche in ambito sportivo troviamo allenatori (insegnanti), compagni, norme e regole da rispettare, gare e competizioni (verifiche e compiti in classe).
La pratica sportiva ha la capacità di rinforzare il carattere ed aiutare a superare gli ostacoli. Ad esempio negli adulti con forte componente ansiosa il continuo mettersi in gioco con alti livelli di stress dovuti allo sport individuale può portare al superamento della sensazione di incapacità e di prostrazione. Mentre un adolescente o un bambino in fase prepuberale che sta costruendo la sua personalità trarrebbe sicuramente maggiori benefici ripartendo l’ansia da prestazione all’interno del gruppo quindi sarebbe maggiormente indicato uno sport di squadra.

Gli sport di squadra sono altamente consigliati per le loro proprietà di favorire la socialità; essi sono indicati nei casi di adolescenti estremamente timidi e con grosse paure di sbagliare. In gruppo viene favorita una maggiore fiducia in se stessi e, nei casi in cui un adolescente sia troppo irruento o metta in atto atteggiamenti “prepotenti” può favorire un senso di adeguamento alle esigenze della squadra, seppur da leader. Il gruppo favorisce il superamento della frustrazione, permette di percepire il fallimento in modo lucido, senza particolari contraccolpi psicologici, permettendo di considerare la sconfitta come l’opportunità di crescita in vista di un miglioramento verso un nuovo obiettivo. Gli allenamenti, le gare favoriscono un confronto ed una socializzazione continui che permettono una crescita cognitiva e comportamentale.

Gli sport individuali, di contro, sono molto utili per ragazzi particolarmente irruenti e spesso iperattivi, con poche capacità di autocontrollo; ciò perché un ragazzo che sente su di sé tutte le responsabilità della prestazione deve inevitabilmente mantenere maggiore autodisciplina. Ad esempio: le arti marziali mirano a formare il ragazzo o la ragazza da un punto di vista tecnico-fisico, ma anche disciplinare. Il rispetto delle regole, il rigore di questo tipo di sport riescono a modificare gli atteggiamenti di alcuni adolescenti laddove non ci riescono la scuola e la famiglia.

Gli effetti della pratica sportiva a lungo termine sono molteplici; innanzitutto lo sport può aiutare il bambino a superare con successo le fasi dello sviluppo adolescenziale. Nel caso degli sport di squadra, la collaborazione, il senso di gruppo, lo spirito di competizione favoriscono il mettersi in gioco con altri individui per il raggiungimento dell’obiettivo comune. Mentre negli sport individuali si favorisce il senso di responsabilità, la disciplina e l’equilibrio psicofisico che si sviluppano fin dalle prime gare. In questo caso, infatti, come detto, l’atleta essendo da solo deve per forza di cose organizzarsi autonomamente, concentrandosi per ottenere il risultato e rispondendo sempre personalmente. Il raggiungimento degli obiettivi è subordinato alla relazione quasi simbiotica che egli dovrà sviluppare con la disciplina in un clima di assoluto equilibrio mentale. I processi di apprendimento e di comportamento in questa tipologia di atleti sono più repentini e precoci perché essi imparano rapidamente ad affrontare I propri limiti e le paure superandoli e sconfiggendole, tutto ciò favorisce senz’altro il processo di sviluppo adolescenziale.

Queste due modalità di affrontare lo sport presentano notevoli differenze ma anche aspetti simili. Negli sport individuali atleta ed allenatore vivono il carico emotivo del protagonismo, negli sport di squadra esistono ruoli ben definiti e dinamiche “più complesse”. I ruoli sono distinti, esiste il coach che deve gestire le dinamiche della squadra, i ruoli tecnici, quelli dirigenziali, esistono il leader ed i gregari le cui funzioni sono definite anche dalle capacità fisiche e psicologiche. La squadra è caratterizzata da rapporti interpersonali non solo durante l’espressione della disciplina ma anche fuori dal campo, I processi di reciproca influenza “dentro e fuori” sono molto importanti e vanno tenuti in forte considerazione. I rapporti tra i componenti della squadra sono di tipo gerarchico: di solito il più giovane è quello che “subisce” di più ma allo stesso tempo ha la possibilità di imparare dai suoi compagni più anziani. L’unità del gruppo è superiore all’interesse del singolo, per questo è necessaria la presenza di individui equilibrati e con spiccate capacità di equilibrio che trasmettano le regole facendo sì che vengano superati quei momenti di empasse che si possono verificare nella squadra.

Infatti numerosi possono essere i momenti di rivalità, di tensione che ricadono sulla squadra, ciò avviene per la volontà di manifestare la propria bravura, le proprie capacità, l’ambizione al ruolo di leader, ecc. Un buon allenatore, in questo caso, deve avere ottime doti comunicative, magari coadiuvato da uno psicologo dello sport affinché tutto venga spostato sui canoni di collettività e capacità di autocritica. Quando ciò non avviene, quando cioè un allenatore non è capace di soddisfare o tenere a bada i bisogni del singolo la stabilità, la coesione e l’armonia possono essere compromessi dalle crisi d’identità che caratterizzano l’età adolescenziale.

Ecco che sempre più spesso prende piede negli organigrammi delle squadre sportive la figura dello psicologo dello sport. Una figura il cui scopo è la preparazione mentale degli atleti affinché venga promosso, portato avanti e monitorato il benessere degli sportivi. I temi maggiormente presi in considerazione sono legati all’osservazione, all’istruzione degli allenatori, all’analisi dei bisogni ed alle eventuali difficoltà che possono insorgere in una squadra. È importante focalizzarsi attentamente sulla comunicazione tra tutti gli attori, genitori compresi. Fare in modo che non prevalga la figura o “la gloria” del singolo a discapito del gruppo evitando che un’eccessiva competitività rovini il clima di coesione e di senso di squadra. Attraverso la cooperazione dei giocatori si ottiene un clima relazionale ottimo che permette di superare i conflitti, ciò avviene soprattutto laddove chi gestisce la squadra abbia la capacità di mostrare uguale stima ed imparzialità per tutti i membri della squadra stessa.

Il ruolo dell’allenatore in questo caso viene ad essere fondamentale. Ma esiste una sostanziale differenza tra chi si occupa di una squadra e chi allena il singolo atleta. Infatti, se in presenza di una squadra la pressione di un evento sportivo può essere suddivisa tra diversi partecipanti è altrettanto vero che focalizzarsi sulla tecnica è più facile per un allenatore che allena un solo atleta. La comunicazione tra coach ed atleti ha una valenza molto forte poiché nel caso di una squadra bisogna trasmettere l’idea che si lavora sull’interezza del gruppo, fermo restando la necessità che ogni atleta si alleni, sia concentrato, sia responsabile, ecc. Stimolare un singolo atleta prima di una competizione è diverso dal motivare un’intera squadra fatta di tanti singoli atleti, ognuno con peculiarità proprie. È necessario che il coach sia sempre consapevole di essere il vero leader della squadra ciò per non perdere autorevolezza; il compito più difficile forse sta proprio nel rivolgersi ai singoli convincendoli che all’interno della squadra si è tutti uguali nonostante le insicurezze e le inclinazioni che caratterizzano ogni atleta.

Le dinamiche tra i componenti della squadra sono complesse, diverse, perché diversi sono gli individui e quindi non è facile, né possibile sviluppare una norma comportamentale univoca. Le abilità e le competenze richieste all’allenatore vanno nella direzione di essere un collante, in un gruppo che per sua caratteristica si fonda su equilibri labili e che in qualsiasi momento possono venire meno. Esistono alcune dinamiche difensive che portano addirittura l’esclusione per salvaguardare l’entità gruppo. Sta al coach essere in grado di recepire e gestire queste dinamiche affinché il gruppo non si sfaldi; tutto ciò data la maturità dei singoli di subordinare i propri interessi individuali al benessere del gruppo. Lo spirito collettivo è infatti ciò che permette la riuscita di una squadra. Non è detto né dimostrato che tanti fuoriclasse all’interno di una squadra le permettano di superare le difficoltà e vincere sempre, così come le squadre sprovviste di campioni riescono a superare le sfide più ardue. Regole e ruoli sono fondamentali per un passaggio di informazioni rapido e costante, ma ciò che importa è innanzitutto la comunicazione. L’allenatore attraverso un costante e meticoloso lavoro di aggregazione deve valorizzare il singolo in prospettiva del gruppo, favorire lo spirito di solidarietà e lo sviluppo di relazioni positive, dentro e fuori dal campo; basando tutto sull’autodeterminazione, la spontaneità e la corresponsabilità.

Nel caso invece di uno sport individuale, le energie mentali dell’atleta sono tutte spese per il raggiungimento di un obiettivo che dipende solo da se stesso senza soffermarsi sul valore delle relazioni con gli altri. Tranne di quella con il proprio coach con il quale deve riuscire a sviluppare una buona sinergia. È importante che si crei tra i due un rapporto di fiducia; soprattutto perché l’atleta deve affidare il proprio talento ai consigli dell’allenatore anche nei momenti di difficoltà.
La cura dei dettagli è importante per questo tipo di atleta, non esistono meccanismi di compensazione (se sbaglia, l’errore è imputabile solo a lui), le motivazioni vanno ricercate dentro se stessi. La preparazione iniziale, il raggiungimento della concentrazione, le conseguenze di una vittoria o di una sconfitta sono imputabili solo all’atleta e vanno gestite con grande attenzione. La sicurezza nell’affrontare gare e gestire la prestazione è la conditio sine qua non per ottenere dei risultati; a volte non è detto che una “giornata NO” infici la prestazione.

In conclusione: lo sport di squadra e quello individuale si diversificano per diversi elementi, soprattutto nelle modalità di apprendimento e nell’approccio mentale della pratica. Ciò che bisogna tenere in considerazione non è solo l’aspetto pratico dello sport, o quello agonistico, ma va tenuta in considerazione anche la motivazione, la pressione psicologica, il senso di responsabilità, la maturità caratteriale; insomma tutto ciò che ha a che fare con lo sviluppo della personalità del bambino o dell’adolescente.
È difficile dire se una pratica sportiva è migliore dell’altra, restano però le peculiarità tipiche di ogni modalità di praticare lo sport: individuale o di squadra. La pratica contemporanea delle due modalità aiuta nella formazione di un individuo più completo: fisico-motorio, cognitivo, psicologico, ecc.

Per Approfondire:
Gasperini I., Uno sport per crescere. Come aiutare i bambini a vivere meglio attraverso l’attività sportiva. Una guida per genitori, allenatori, insegnanti, Franco Angeli, 2005

© Dott. Pasquale Saviano
Psicologo – Psicoterapeuta