IL RAPPORTO CON LO PSICOLOGO NELLA VITA DEL MALATO

Aumenta la consapevolezza nella popolazione dell’aiuto che può fornire lo psicologo nell’affrontare problematiche di vita legate alla quotidianità. Così sempre più numerosi sono i cittadini che si rivolgono allo psicologo per chiedere aiuto riguardo comportamenti che non riescono a gestire o a problematiche che caratterizzano disagi psicologici. Lo psicologo oggi ha sempre più spesso a che fare con persone che presentano sintomatologie legate all’ansia, alla depressione, o anche a conflitti che non li fanno vivere serenamente perché stressanti, destrutturanti di un equilibrio che è già di per sé difficile da trovare soprattutto in ambito relazionale (genitorialità, coppia) o lavorativo.

La corretta applicazione di tecniche ad indirizzo scientifico porta ad un ritrovato benessere da parte di chi soffre, a patto che il trattamento clinico venga svolto con empatia, coscienza e professionalità cercando di costruire l’intervento tenendo conto delle caratteristiche del paziente. Purtroppo non sempre è così. Laddove infatti è forte la tendenza a “medicalizzare” gli interventi, i risultati spesso si rivelano tanto attesi quanto lontani. Questo perché forte rimane la tendenza a mettere in pratica un intervento più medico/farmacologico che psicologico cioè che tenga conto della persona nella sua interezza. È necessario a tal proposito che anche cittadini vengano istruiti/informati rispetto al fatto che le evidenze scientifiche hanno dimostrato che gli interventi psicologici affiancati a quelli farmacologici favoriscono una guarigione migliore ed evitano notevolmente le ricadute.

Come detto e come ampiamente dimostrato di risultati scientifici è necessario sempre costruire l’intervento sulle caratteristiche psicocorporee del paziente e sulla sua unicità, allontanando la convinzione che modalità d’intervento generalizzate producano gli stessi effetti su persone diverse. Oggi, grazie anche alla sempre più forte affermazione della psiconeuroendocrinologia, è stata superata l’idea del corpo come una macchina sulla quale l’azione esterna sia l’unico modo per agire. Si è infatti passati alla consapevolezza che l’unicità del soggetto fa sì che i suoi sistemi interni di autocorrezione funzionino per favorire il processo di guarigione. E’ il caso dello stress che va ad agire su più livelli: immunitario, endocrino, nervoso e psicologico. Non si tratta più di curare la malattia, ma prendersi cura del paziente che esprime il suo malessere e lo fa nella malattia.

Numerosi, a dire il vero, oggi sono gli interventi, soprattutto in ambito ospedaliero che tengono conto anche della componente “persona” di chi soffre prendendo in considerazione le caratteristiche autobiografiche del soggetto, perché un malato che si sente considerato ed accolto nella sua totalità sarà un malato che metterà in atto le sue risorse interne per trovare la guarigione. Un malato invece che si sente percepito solo come “portatore” di una patologia, si vedrà solo come una persona sofferente e si adeguerà a quello status. Si tratta insomma, di basare l’intervento sul modello biopsicosociale.

L’intervento ospedaliero, ambulatoriale, sia pubblico che privato, oggi basa le sue azioni su un’analisi ed un supporto del paziente a 360°. Interventi che cercano di andare oltre la semplice espressione della malattia organica e che, come nel caso delle cardiopatie, tengono conto anche della componente psichica e sociale fornendo uno spazio supportivo ed espressivo al paziente con problemi cardiaci che secondo gli studi scientifici presenta spesso problemi di ansia, depressione, rabbia repressa, ecc. e che quindi vede un aumento del rischio di infarto maggiore rispetto a chi non ha problemi legati all’umore.

I benefici del benessere psicologico, nei casi di malattia cardiaca, sono ampiamente riconosciuti, così come si sono dimostrate efficaci le tecniche di gestione dell’ansia e dello stress nel favorire la guarigione e ridurre il rischio di recidiva. Questo perché la gestione dell’ansia, della rabbia e dello stress favorisce una riduzione della frequenza cardiaca tale da affaticare meno il cuore. I contributi scientifici sono notevoli e numerosi e vanno ad interessare diverse branche relative ai trattamenti delle patologie: è il caso di pazienti oncologici, pazienti che subiscono interventi chirurgici di vario tipo (asportazione di arti, chirurgia bariatrica, trapianti) o anche nel trattamento del diabete e dei disturbi gastrointestinali.

Troppo spesso si tende ad agire col farmaco per eliminare la sintomatologia credendo o facendo credere che quella sia la sola ed unica cura possibile. Ma nella realtà, quando si ha che fare con la psicopatologia è sempre utile chiedersi quanto sia possibile affidarsi alle risorse interne del paziente che, attraverso un percorso di conoscenza ed autosvelamento di se stesso, può imparare ad affrontare il disagio in modo diverso. Qui non si vuole stigmatizzare in modo assoluto l’uso dei farmaci, ma è importante che essi vengano visti come eventuale supporto e non come panacea di tutti mali. Questa dovrebbe essere anche la linea da seguire, come detto, in caso di patologie fisiche, prospettando al malato, oltre l’uso del farmaco, o dell’intervento chirurgico, in modo complementare, un intervento di supporto psicologico che lo aiuti a mettere in atto strategie comportamentali e di pensiero che lo rendono più cosciente e propositivo rispetto al proprio futuro.

C’è bisogno di favorire un cambiamento teso alla completezza degli interventi affinché siano ridotti i livelli di sofferenza nei malati e venga favorita l’efficacia di trattamenti clinici (sia farmacologici che chirurgici) oltre che un notevole risparmio per le strutture pubbliche perché così facendo si abbassa il rischio di recidive.

© Dott. Pasquale Saviano
Psicologo – Psicoterapeuta

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