QUANTO CI LIMITANO LE NOSTRE CONVINZIONI?

Nella nostra vita esistono credenze che ci limitano ed altre che ci potenziano. Ma ci siamo mai chiesti quali sono e come esse spingono i nostri comportamenti in un senso o in un altro? In particolare cosa provoca la riuscita o meno di ciò che facciamo? Siamo noi stessi! Infatti i limiti che ci diamo e che influenzano i nostri comportamenti sono attribuibili alle nostre credenze e ai nostri limiti che paradossalmente oltre a noi stessi influenzano anche gli altri. Molte volte non riusciamo a fare una cosa perché pensiamo di non farcela ancora prima di provarci. Tutto ciò va inevitabilmente ad agire sul nostro comportamento facendo sì che avvenga quanto temiamo.

Spesso si parla di “profezia che si autoavvera” e tutto ciò si verifica perché al nostro cervello non “piace” contraddirsi. Il meccanismo che scatta è la consapevolezza che ciò di cui si aveva paura è ciò che è capitato e che sarebbe stato meglio non tentare nemmeno. “Lo sapevo, era come dicevo io, non ci dovevo neanche provare!”.
Ciò che bisogna fare in questi casi è cambiare l’atteggiamento mentale con cui si affronta la vita e imparare ad avere una visione più ampia che ci permetta di guardare le cose da un altro punto di vista. Purtroppo, però, cambiare punto di vista non è facile e consiste nel mettere in dubbio tante credenze su di noi che se modificate possono agire anche sulla nostra identità. Le convinzioni positive su noi stessi ci portano a metterci in gioco ed osare nella nostra quotidianità, ma la convinzione di essere incapaci anche di fronte a tanti piccoli successi che raggiungiamo ogni giorno porterà il nostro cervello a concentrarsi solo sugli errori.

Il potere della suggestione è stato molto usato come mezzo di cura e viene tuttora utilizzato nel lavoro di mental coaching e dagli psicologi dello sport che aiutano a focalizzare la mente degli atleti sul risultato finale e positivo della prestazione come mezzo per la riuscita dell’impegno cui si va incontro.
Già L. LeCron nel 1967 quando formulò la “legge del risultato inverso” si focalizzò sul concetto che se si desidera fare una cosa che non si può realizzare a causa di un pensiero negativo che ne impedisce l’attuazione, più si cercherà di compierla, meno si riuscirà. A ben pensarci si tratta dell’esatto opposto che sul piano fisico, in cui più ci si sforza e più si otterranno risultati positivi. Per questo si parla anche di “legge dello sforzo inverso”, da non confondersi con la “legge della ripetizione”, infatti qui non si parla della ripetizione di un atto, ma della convinzione rappresentata da un pensiero che va contro la reale riuscita.

La direzione da seguire è quindi quella non di vincere contro l’inconscio ma di cambiare la direzione della sua spinta. Se partiamo dal presupposto che tutto ciò che abbiamo fatto è stato fallimentare e qualunque altra cosa faremo potrà esserlo, stiamo implicitamente contemplando il fallimento. Per riuscire in una cosa dobbiamo essere consapevoli che affrontandola con il “volere” le cose andranno bene, più che se “cercheremo” di fare quella cosa.
Facciamo qualche esempio: l’insonnia. Una persona che ne soffre riuscirà ad addormentarsi più difficilmente quanto più penserà: “chissà se oggi riuscirò a dormire”; ciò lo porterà a sforzarsi di più per dormire al punto che non ci riuscirà.
Allo stesso modo se dobbiamo affrontare un esame universitario, la convinzione che quel docente “è cattivo”, o troppo esigente, o che gli altri nostri colleghi molto più bravi di noi non sono riusciti a superare l’esame o che in quell’aula gli esami non ci vanno mai bene, ecc., metteremo in atto delle dinamiche interne che molto probabilmente ci porteranno ad un risultato negativo.
Pertanto è necessario rendersi conto che quando un’idea ha per noi una valenza emotiva per la sua riuscita, l’emozione più forte prevale su quella più debole, quindi se l’immaginazione e la volontà entrano in conflitto, sarà sempre l’immaginazione a vincere: “legge dell’effetto dominante” (LeCron, 1967).

Esistono delle frasi come: “Conosci te stesso”, “Sapere è potere” che fungono da veri e propri mantra nel motivare le persone e le aiutano ad esplicitare dei concetti. Noi, tutti, siamo ciò che pensiamo di essere, perché il nostro inconscio, la parte più oscura di noi riflette i nostri pensieri; pertanto se ci aspettiamo una sconfitta, dubiteremo della nostra riuscita ed il nostro inconscio lavorerà per il fallimento. Del resto è abbastanza chiaro che non si può andare contro l’inconscio e i vari disagi psichici (ansia, panico, insicurezza) ne sono la conferma. Significherebbe sfidare in una corsa ad ostacoli il campione mondiale e pensare di riuscire a vincere.

Se una cosa non va con la metodologia che mettiamo in atto, non è il caso di continuare ad agire in quel modo ma di cambiare punto di vista. Più ci sforzeremo perseguendo la stessa modalità e meno avremo la possibilità di riuscita. Già Einstein affermava: “la follia sta nel fare sempre la stessa cosa aspettandosi risultati diversi”.
C’è una sottile differenza tra insistenza e perseveranza. Bisogna capire cosa si sta facendo, cosa si vuole ottenere e mettere in relazione quel comportamento con l’obiettivo finale che si vuole raggiungere. Agire sotto pressione non favorisce la riuscita, anzi il cervello tende ad operare in modo meccanico, automaticamente, governato, cioè, dall’inconscio. La soluzione migliore è quella di riportare il cervello a livelli di coscienza più ragionevoli cosa che ci permetterà di avere un maggiore controllo sul nostro comportamento e ascoltare ciò che ci viene da dentro. Una riflessione più limpida ci permetterà di riprendere fiato ed agire secondo la nostra volontà valutando un passo alla volta miglioramenti e risultati ottenuti.

© Dott. Pasquale Saviano
Psicologo – Psicoterapeuta