PSICOSOMATICA: IL BERSAGLIO DOLORE

Nell’articolo precedente (reperibile qui: goo.gl/4DACay) ci siamo occupati di un sistema che spesso viene identificato come via di espressione di un disagio psichico, il Sistema Muscolo-Scheletrico.

In questo articolo ci soffermeremo su come il Dolore, che ha sempre accompagnato l’uomo fin dalla sua comparsa sulla terra, possa essere indicativo di un disagio psichico. L’essere umano ha sempre cercato di rifuggire il dolore evitandolo o cercandone le cause per trattarlo e farlo scomparire. Il dolore spesso è legato a stati emozionali complessi che riflettono sul corpo ciò che non riusciamo a chiarire a livello psichico. La strada per la ricostruzione del malessere viene allora effettuata ripercorrendo i propri vissuti e il proprio passato, una narrazione della storia individuale necessaria nella relazione medico-paziente. Il dolore può essere definito un’esperienza sensoriale a cui viene attribuito il significato di danno. Esso è fatto di localizzazioni, intensità, durata ed influenza e viene influenzato da aspetti cognitivi, affettivi e motivazionali.
Soggetti con temperamenti agguerriti e con forti convincimenti tendono a porsi nei confronti del dolore con reazioni di contrasto. Soggetti con caratteristiche di personalità deboli invece tenderanno a subirlo ed amplificare uno stato di ansia e di malessere di per sé già molto complesso.

I segnali dolorifici che dalla periferia giungono alle strutture encefaliche superiori (talamo, sistema limbico, ipotalamo) vanno ad influire su tali strutture che presiedono anche agli aspetti culturali, emotivi e comportamentali: da qui le modificazioni delle caratteristiche personologiche dell’individuo.
La secrezione di sostanze a livello neuronale fa sì che l’impulso dolorifico venga accelerato (con la produzione di prostaglandine) o rallentato (con la produzione di endorfine). La cronicizzazione del dolore rappresenta un prolungamento di una fase tonica caratterizzata dallo stimolo doloroso che a sua volta nasce anche per preservare la difesa dell’individuo tenendolo fermo ed immobile.
Il dolore collegato a condizioni problematiche psichiche è spesso amplificato da fattori cognitivi, emotivi e affettivi. Ansia e dolore sono in molti casi correlati ed il protrarsi di questa stretta relazione può portare a lesioni d’organo, ecco perché è necessario indagare sul nesso di causalità tra i due al fine di “smascherare” quel meccanismo che da difensivo diventa offensivo.

La storia individuale e la biografia del paziente hanno un forte impatto sia nella scelta della zona che nella percezione del dolore, nonché nell’affrontarlo. La qualità delle emozioni che vengono suscitate, ma anche le rappresentazioni immaginarie che vengono costruite, sono l’esatta trasposizione di una modalità di rapportarsi agli eventi che caratterizza anche la vita dell’individuo.
Spesso come dice Gadda (1963), “la cognizione del dolore” può essere identificata con la morte che rappresenta il significato estremo che l’essere umano può dare al dolore, oppure, di contro, la soglia del dolore può essere innalzata così tanto sublimandolo in un processo eticamente valorizzato. Pertanto se partiamo dalla visione che il dolore è strettamente legato all’ansia ed al carico emotivo di cui essa lo investe potremmo anche renderci conto che meno esso sarà caricato di simbolismi riferiti alla morte, maggiore sarà la possibilità di controllarlo. Ciò risulta però alquanto difficile perché il dolore psichico provoca un restringimento della coscienza su temi penosi, molesti e depressivi. Già Freud (1911) dava al dolore un’interpretazione legata alla frustrazione per la perdita dell’oggetto amato nel passaggio tra l’onnipotenza infantile ed il principio di realtà. Egli assimilava il dolore fisico a quello psichico e similmente l’investimento a livello mentale avviene sull’elemento mancante investendo sulla parte dolorosa del corpo, come a dire: “mi fa male ciò che non ho”.

Essendo strettamente personale, la tolleranza al dolore si basa sulla rappresentazione mentale di sé: per alcuni è caratterizzata da un’assoluta fobia legata anche alla sola immaginazione del dolore (algofobia), per altri invece viene ad essere caratterizzata da una ricerca estrema del dolore (algofilia). Ciò che però accomuna tutti è la necessità di fronte al dolore di porvi fine immediatamente. Il nostro “programma genetico” esige che noi stiamo bene cercando la migliore situazione di vivibilità possibile per il mantenimento della specie. Il dolore, pertanto, viene ad essere come una risposta soggettiva ad uno stimolo percepito come nocivo, disturbante in quanto provoca sofferenza fisica ed emotiva andando ad intaccare il benessere cui l’uomo aspira.
La cosiddetta soglia del dolore muta col tempo in relazione all’età, ma anche a condizioni psichiche di benessere. Pertanto si può avere un aumento (iperalgesia) nella percezione del dolore portando a variazioni comportamentali legate anche all’assunzione di farmaci.
Esperienze dolorifiche creano una memoria che porta l’individuo a misurare e valutare tutto ciò che avviene successivamente. Grande importanza rivestono quindi il profilo di personalità, il contesto storico, culturale, l’educazione, nonché gli strumenti cognitivi di cui l’individuo dispone per affrontare e metabolizzare l’evento doloroso.

Il dolore psicosomatico rimane difficile da decifrare perché spesso si manifesta in modo incongruo rispetto alle evidenze cliniche e di laboratorio. Occorre pertanto indagare e focalizzarsi su una condizione di attenzione ed allertamento da cui scaturisce uno stress protratto che genera malessere e dolore sia fisico che psichico. A questo punto non si può non mettere in contrapposizione piacere e dolore considerandone i destini diversi. Nel caso del piacere infatti si ha la tendenza ad avvantaggiare l’aspetto affettivo mettendo da parte quello percettivo, cosa che invece avviene nella componente dolorosa in cui l’aspetto percettivo viene investito totalmente. Il che equivale a dire: quando siamo felici ci godiamo la felicità e basta, quando abbiamo un dolore, un malessere lo subiamo e ne soffriamo.
Il dolore psicogeno o somatoforme colpisce perlopiù le donne in età compresa tra i 50 e 60 anni. Se ci rifacciamo alle ipotesi psicodinamiche dobbiamo tenere in considerazione il significato inconscio del dolore che spesso, soprattutto nell’età evolutiva, era un mezzo per ottenere cura ed attenzione o un’occasione per scontare una colpa (idea di matrice religiosa).
Il dolore viene anche appreso, soprattutto attraverso un corteo di manifestazioni che lo caratterizza: come lamentosità, l’esonero da attività ed obblighi, l’allettarsi, ecc. Ovviamente, come in tanti altri casi questi comportamenti vengono reiterati se producono vantaggi o abbandonati se le aspettative vengono disattese. Spesso anche nelle relazioni “il gioco del dolore” viene messo in atto, mettendo in difficoltà l’interlocutore, per ottenere qualcosa.

È necessario, concludendo, considerare il dolore come un’espressione di sofferenza legata a problematiche fisiche, ma non perdere di vista che esso può anche rappresentare una caratterizzazione di problematiche e disagi psichici che trovano attraverso questa via il modo di uscire.

BIBLIOGRAFIA:
Dinelli U., (2005), Siamo tutti psicosomatici? L’astuzia della mente sulle ingenuità del corpo, Marsilio, Venezia

© Dott. Pasquale Saviano
Psicologo – Psicoterapeuta