LO PSICOLOGO SI “CURA”?

“Lo psicoterapeuta deve essere sufficientemente sano, ed essere stato in odore di malattia , tanto da comprendere quella dell’altro, in particolare la malattia di vivere” – Sigmund Freud

Capita che le persone, conoscenti e/o pazienti di chi fa lo psicologo di professione, gli facciano (o abbiano pensato di fargli) queste domande:

“Ma, scusami, come fai ad ascoltare sempre i problemi degli altri e a non scoppiare?

Non ti si riempie la testa?

Ma tu, sei mai stato male a tal punto da chiedere aiuto?

Insomma: dallo psicologo, ci sei mai stato??”

Per rispondere a questa domanda ci immergiamo in un mondo tutt’altro che semplice e scontato.

Innanzitutto, il parere sarà diverso da professionista a professionista o, per essere più specifici, da orientamento a orientamento, anche se mi piacerebbe tanto pensare che la risposta possa essere univoca.

Ma alla mia ideale risposta ci arriveremo con calma.

(N.B.: In questo articolo, con il termine “psicologo”, mi riferisco anche agli psicoterapeuti. Per un approfondimento sulle differenze fra le due professioni, leggi l’articolo  “LE DIFFERENZE FRA PSICHIATRA, PSICOLOGO, PSICOTERAPEUTA O COUNSELOR“)

Cominciamo distinguendo i due piani della domanda:

  1. Lo psicologo è stato male?
  2. Lo psicologo è mai stato da uno psicologo?

1. LO PSICOLOGO È STATO MALE?

Il “detto” vuole che “gli psicologi studiano psicologia per curarsi“. Chiariamo una cosa: non è vero. Non è assolutamente possibile fare una generalizzazione simile.

È però pensabile, come è valido per tutte le relazioni di cura (come per i medici e gli infermieri), che ci siano dei nuclei profondi che cercano risposte e gli psicologi le cercano in un aspetto mentale, interiore. Se chiedete ad uno psicologo se è stato male è normale che vi risponda di sì perché è un essere umano e, come tutti gli esseri umani, può aver dovuto affrontare nella sua storia personale, alcune fatiche, più o meno gravi, più o meno pesanti

2. LO PSICOLOGO È MAI STATO DA UNO PSICOLOGO?

Facciamo un passo alla volta. Seguendo il filone di quanto scritto qui sopra, essendo lo psicologo un essere umano e avendo potuto vivere nella sua storia dei momenti di fatica, è probabile che si sia rivolto a uno psicologo a sua volta, ma non è per forza detto. Se penso ai miei colleghi quando ero all’Università, moltissimi non erano mai stati da uno psicologo ma erano incuriositi così tanto dalla professione da iscriversi alla Facoltà di Psicologia e scegliere questo come loro futuro lavorativo. Quanto scritto vale per lo studente-futuro psicologo.

Le cose cambiano invece quando si parla di psicologo già abilitato.

Riprendendo l’articolo su “LE DIFFERENZE FRA PSICHIATRA, PSICOLOGO, PSICOTERAPEUTA O COUNSELOR“, ribadisco che lo “psicologo” è sia chi ha appena superato un Esame di Stato abilitante alla professione al quale ha potuto accedere dopo un anno di tirocinio post lauream magistrale in Psicologia, sia chi ha fatto quell’Esame di Stato 30 anni fa e nel corso degli anni si è formato frequentando Master, corsi di vario genere e mantenendosi in aggiornamento costante.

Nel primo caso occorre ammettere che in quel momento della propria formazione professionale, gli strumenti per prendere in carico dei pazienti e cominciare un lavoro di sostegno psicologico siano decisamente troppo pochi. Al contrario, invece, dello Psicologo abilitato da qualche anno e che ha investito e continua ad investire nella sua formazione (non quello abilitato 15 anni fa e che in questi anni ha fatto l’insegnante e poi dal nulla si ritrova a seguire dei pazienti).

Lo psicoterapeuta, invece, è uno psicologo (o un medico) che ha deciso di frequentare una Scuola di Specializzazione in Psicoterapia, della durata di altri 4 anni (per un totale di 9 anni di studio, contrariamente ai counselor che al massimo frequentano un percorso triennale).

DUE POLI OPPOSTI

Gli orientamenti psicologici delle varie scuole di specializzazione sono tantissimi e si radicano su principi anche molto diversi (a volte addirittura opposti) gli uni dagli altri.

Questa premessa è doverosa perché ci sono alcune Scuole che prevedono l’OBBLIGATORIA e VINCOLANTE psicoterapia personale, ai fini dell’abilitazione come psicoterapeuti, e altre che invece non la richiedono, ritenendola pressoché inutile ai fini della professione (a meno che il professionista non scelga di sua spontanea volontà di farla).

Le diverse idee si basano su concetti connessi ai differenti principi di pensiero.

POLO UNO: PSICOTERAPIA PERSONALE SÌ

ilaria cadorin

Chi “obbliga” lo psicologo a svolgere una psicoterapia su se stesso, come le scuole psicoanalitiche e psicodinamiche, parte dalla considerazione che un professionista che decide di aiutare le altre persone non può assolutamente credere di essere uno strumento di valido aiuto nel momento in cui ha la mente invasa da questioni personali, vecchie o passate, non risolte, e con una vita non-pensata. Questo perché, negli orientamenti in questione, lo psicoterapeuta è esso stesso strumento di terapia, con il suo modo di pensare e di rendere pensabili le cose al paziente.

Si prevede quindi che lo psicologo, futuro psicoterapeuta, abbia visto e compreso la sua vita quel tanto (che non basterà comunque mai) da poterlo rendere “sufficientemente sano” (non “perfetto”, che sarebbe un bel problema!) per lavorare con chi è in difficoltà.

Ripesca la frase di nonno Freud che ho citato all’inizio (mi riferisco a “nonno Freud” perché anche per gli psicoanalisti non c’è solo e unicamente “Freud” ma anche chi da lui e partendo da lui ha continuato a divulgare, perfezionare, modificare e approfondire le idee iniziali).

Lo psicoterapeuta deve aver sentito e contattato un dolore, una sofferenza (l’“essere stato in odore di malattia“) per poter comprendere ciò che chi si rivolge e affida a lui ha provato. Questo non significa che deve aver avuto tutte le magagne del mondo per comprendere tutti i pazienti con tutti i loro problemi, ma che nella sofferenza e nella fatica ci deve essere stato, la deve aver sentita, provata, non negata, non cancellata, non evitata.

Oltre a questo, lo psicologo deve essere oggi “sufficientemente sano”, avendo conosciuto le sue dinamiche interne, leccato e guarito le sue ferite più profonde e divenendo in grado di gestire e marginare le proprie, umane, ammaccature interne.

Nella psicoterapia psicodinamica la concezione di fondo è che noi tutti reiteriamo nel presente dinamiche che si sono costruite fin dai primissimi mesi della nostra infanzia e il sintomo che ci disturba non può essere debellato come se esistesse un tasto ON-OFF, ma va letto e  interpretato sulla base della relazione stessa con il paziente, del transfert controtransfert, dei sogni (e non mi addentro nello specifico di tutto il resto) al fine di elaborare cosa si nascondeva sotto al sintomo.

Lo psicoterapeuta di questo orientamento non si sente come un professore di fronte a un problema matematico da risolvere o, meglio, da insegnare all’alunno a risolvere, ma usa la relazione con il paziente per aiutarlo a capire come il paziente stesso funziona, appunto reiterando dinamiche che hanno a che fare con la sua storia personale.

POLO DUE: PSICOTERAPIA PERSONALE “NO”

ilaria cadorinDall’altro lato, invece, cercando di andare agli antipodi, c’è chi non prevede la psicoterapia, come l’approccio cognitivo-comportamentale. Questo orientamento, altrettanto valido del primo, basa la psicoterapia su elementi decodificabili, su processi mentali che non hanno a che fare con l’ipotesi che ci sia un inconscio ma che si possa lavorare sul funzionamento della mente e sui comportamenti manifesti della persona senza andare in profondità, alla “storia” del paziente. In questo approccio si prende atto del processo in corso, come ad esempio un modo distorto di pensare o un comportamento conseguente a delle convinzioni irrazionali, lo si scorpora, si valuta cosa si è inceppato, e si lavora con il paziente su elementi chiaramente analizzabili: lo psicoterapeuta qui dà consigli, spiega cosa succede nella mente della persona, fa vedere gli inceppamenti, insegna tecniche utili ai fini del cambiamento del tipo di pensiero e, quindi, del comportamento.

Mi scusino i colleghi per questo tipo di semplificazione ma spero di aver reso l’idea.

PSICOTERAPEUTI DIVERSI

Per essere chiara però, tornando alla nostra questione sul perché ad esempio in questo approccio cognitivo-comportamentale la psicoterapia non serve, nel momento in cui ciò che voglio indagare è una disfunzione, un blocco in un processo, che dipende dal meccanismo o processo “x-y-z”, il coinvolgimento dello psicoterapeuta cognitivo-comportamentale verso il paziente e al contempo verso se stesso, sarà decisamente diverso rispetto a quello di uno psicoterapeuta psicodinamico che invece nei vissuti emotivi del paziente, nel suo mondo interno, nella relazione ci vuole entrare completamente, allo scopo di conoscere fantasmi, fantasie, angosce del paziente. Anziché lavorare su un processo chiaramente definibile e spiegabile, lo psicoterapeuta psicoanalitico-psicodinamico, lavora con, sulla e nella relazione con il paziente e, per fare questo, deve essersi guardato bene per poi discernere fra cosa è suo e cosa è dell’altro.

Del resto, cosa facciamo quando dobbiamo accogliere in casa nostra degli ospiti importanti? 

Puliamo casa, al meglio che possiamo: spolveriamo, laviamo il pavimento, i vetri, rendiamo il tutto accogliente, ordinato, profumato. Quando la casa è in ordine, possiamo stare comodamente di fronte al nostro ospite, senza aver la paura che dal soffitto scenda un ragnetto o che da sotto il divano voli fuori un mucchio di polvere. Inoltre, tutto quello che dovevamo fare lo abbiamo fatto e la nostra mente può essere lì, senza distrazioni, preoccupazioni, “altro” che possa distrarci dal nostro ospite. Siamo tranquilli, sufficientemente sereni e “a posto”. Con lui.

La stessa cosa la fa lo psicologo-psicoterapeuta psicoanalitico-psicdinamico: si guarda dentro, nella sua psicoterapia personale, per poter accogliere al meglio il suo paziente, e per poter così usare la sua mente, sufficientemente libera (avrai capito che “sufficientemente” è l’avverbio chiave dell’articolo!) per lavorare con lui e aiutarlo a stare bene.

(NOTA: Non esiste all’oggi un approccio di psicoterapia considerato più valido di altri ma ci possono essere delle patologie o dei disturbi che con alcuni approcci trovano la cura più efficace rispetto che con altri. Ho presentato qui gli antipodi della psicoterapia ma di approcci ce ne sono davvero tanti e al di là del “contenuto”, non vorrei distoglierti troppo dall’argomento qui trattato, ovvero la psicoterapia personale da parte di chi, di professione, è psicoterapeuta).

A parte la questione legata alle scuole di psicoterapia e al loro pensiero, prima di essere psicoterapeuta ognuno è una persona e sta alla propria coscienza valutare se, come e quale tipo di percorso individuale scegliere o non scegliere.

RIFLESSIONE CONCLUSIVA

ilaria cadorin

Dal mio punto di vista, al di là degli orientamenti psicoterapici, sarebbe FONDAMENTALE che ogni psicoterapeuta di qualsiasi orientamento e, ancor di più, ogni psicologo che lavora con le persone, abbia fatto un percorso di psicoterapia personale, se non per una questione di coscienza ed etica personale, per un fattore di congruenza:

Come si può chiedere al paziente di investire e affrontare un percorso personale, senza che se lo si abbia provato?

Come si può dire ad un paziente di lanciarsi con il paracadute se come psicologi a propria volta non lo si è fatto?

Ma soprattutto, se non lo si è mai fatto, come si potranno comprendere le sue vertigini, l’angoscia del vuoto così come la paura di volare? Come si potrà capire come mai prima di lanciarsi ha aspettato tutti quei minuti, o pensare a come mai si è lanciato senza nemmeno aver verificato di aver allacciato bene il paracadute?

Ogni psicologo e ogni psicoterapeuta può essere un bravissimo psicologo e psicoterapeuta, qualsiasi sia l’orientamento scelto.

Ma che uno psicologo/psicoterapeuta non abbia coscienza di sé e pensi di fare questo lavoro con la leggerezza di chi aggiusta scarpe o il motore di una macchina, casomai con l’emittente radio preferita in sottofondo, questo non lo condivido assolutamente.

Cari colleghi, care colleghe, riflettiamoci.

© DR.SSA ILARIA CADORIN

Psicologa n°9570 Albo Psicologi del Veneto

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